Alan Dershowitz, un avvocato coraggioso che non si limita a frequentare solo i tribunali. Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/04/2009, a pag. 41, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Un vero liberal deve difendere Israele ".
NEW YORK — In Italia Alan Dershowitz è di casa dal 1974. Allora si recò nel nostro Paese per incontrare Umberto Terracini, dirigente del Pci d’origine ebraica favorevole a una politica più pro-Israele. Dopo 35 anni il giurista-scrittore di Harvard, paladino dei diritti civili, torna a Roma con una missione: frenare l’ondata di odio anti-israeliano che, mette in guardia, «oggi non scaturisce più soltanto dalle forze estremiste».
La sua tournée italiana è stata organizzata da Amy Rosenthal, docente di Relazioni internazionali all’American University di Roma e comprende anche un incontro con alcuni deputati, tra cui Fiamma Nirenstein. L’occasione: l’uscita in Italia del libro Processo ai nemici di Israele (Eurilink editore), dove Dershowitz mette sotto accusa l’intellighenzia occidentale: «Intellettuali — spiega — come lo scrittore spagnolo Antonio Gala, secondo cui gli ebrei meritano un altro Olocausto se non abbandonano Israele».
Nella sua lista nera: l’ex presidente Usa Jimmy Carter (che ha scritto Palestine. Peace not Apartheid) e Stephen Walt e John Mearsheimer, autori di La Israel Lobby e la politica estera americana (Mondadori). «Mi preoccupa che la retorica anti-israeliana più violenta non appartenga più a frange dell’estrema sinistra, ma al mainstream », precisa Dershowitz, che cita i Nobel Harold Pinter, Carter, José Saramago e Desmond Tutu, oltre a Noam Chomsky («studioso di fama mondiale»), ma non Norman Finkelstein, «spazzatura che nessuno prende sul serio».
A Roma Dershowitz approda dopo i riflettori di Durban II, dove è stato allontanato quando si accingeva a sfidare il presidente iraniano Ahmadinejad. «Ad applaudire con più entusiasmo le sue farneticanti esternazioni sull’Olocausto e Israele — accusa — erano purtroppo gli ebrei barbuti del Neturei Karta. Un gruppo che auspica l’annullamento totale del sionismo».
L’ebreo antisemita: un ossimoro che lo tormenta. «L’odio anti-israeliano è diventato una sorta di rito d’iniziazione. Per essere accettati nell’estrema sinistra agli ebrei si chiede di diventare più anti-israeliani degli arabi e più palestinesi dei palestinesi, buttando alle ortiche la propria eredità». Si tratta, teorizza, di un ritorno all’Inquisizione, «quando eravamo costretti a convertirci e a diventare più cattolici del Papa. Gli ebrei disposti a vendere l’anima al diavolo esistono da sempre».
Il suo assillo oggi è spiegare al mondo che non bisogna essere di destra per amare Israele. «Barack Obama, Hillary Clinton, Ted Kennedy, Irwin Cotler ed io siamo tutti liberal e pro-Israele, come il resto della sinistra moderata Usa». La sua coscienza sionista è germogliata a Williamsburg, il quartiere di Brooklyn dove è nato nel 1938 da una coppia di origine polacca: Claire, computista, e Harry, fondatore della Young Israel Synagogue: «I miei erano ebrei ortodossi ma moderni. Da piccolo giocavo a baseball e correvo dietro alle ragazze come i miei amici protestanti e cattolici. Oggi l’ebraismo è spaccato in due tra ultraortodossi e laici: il tipo di quartiere dove sono cresciuto io non esiste più in America».
A 14 anni aveva trovato il primo lavoro, alla Sohn Delicatessen, una fabbrica di insaccati kosher della Lower East Side. «Dovevo annodare lo spago tra un hot dog e l’altro e un giorno rimasi chiuso nel freezer». Dopo la laurea in legge a Yale nel 1962, nel ’67, a solo 28 anni, diventa il più giovane docente in legge nella storia di Harvard, dove, tra gli ex alunni, annovera Eliot Spitzer, John Sexton, Joe Klein, Barack e Michelle Obama. Difendere gli emarginati era nel suo Dna. Si fa strada come avvocato dei poveri e dei bistrattati, per esempio dei condannati a morte di colore. «La pena capitale è un’atrocità razzista che li penalizza. E solo quando la vittima è bianca». Ma tra i suoi clienti ci sono pure Vip ricchi e famosi come Patricia Hearst, Mike Tyson, Michael Milken. «Certo, ma la metà dei miei assistiti non paga un centesimo », ribatte. Di O.J. Simpson, assolto col suo aiuto, dice che «non comparirà tra i processi del secolo accanto a Norimberga, ai coniugi Rosenberg o Sacco e Vanzetti, e sarà scordato dalla storia».
Per assicurarsi l’immortalità abbandona spesso la toga di avvocato, per indossare i panni di scrittore prolifico, autore di ben trenta saggi, tra cui i bestseller Reversal of Fortune e
Chutzpah. «Scrivo ogni giorno dalle tremila alle quattromila parole. La mia segretaria le ha contate: un milione l’anno, oltre 40 milioni in tutto. Però non so usare il computer e scrivo solo a penna».
Dershowitz ha appena ultimato il suo terzo romanzo: The Trial of Zion,
un thriller legale che parte da un attentato terroristico per esplorare, attraverso cinque famiglie, il conflitto ebraico-palestinese in Terra Santa dal 1885 ad oggi. Nel 1994 aveva pubblicato Il demone dell’avvocato (Mondadori), il suo primo lavoro di fiction (la storia semiautobiografica di un avvocato alle prese con un cliente colpevole e pericoloso) e nel 1999 Just Revenge, ispirato allo sterminio della famiglia materna durante l’Olocausto. «Sono stato influenzato da Emanuel Ringelblum, che ha immortalato l’esperienza nel ghetto di Varsavia nascondendo i diari in cartoni del latte sottoterra. E da Elie Wiesel, oggi mio caro amico. Non parlo solo de La notte ma anche de Gli ebrei del silenzio che mi spinse ad andare in Unione Sovietica e a lavorare dieci anni per gli ebrei russi». I suoi libri preferiti? « I fratelli Karamazov, Anna
Karenina, Il Principe di Machiavelli. E poi l’opera omnia di Philip Roth, Primo Levi, Amos Oz e Saul Bellow».
Alan Dershowitz oggi è anche un famoso blogger, per l’«Huffington Post», il «Jerusalem Post» e «Front Page». «Sull’'Huffington Post' scrivono le migliori e le peggiori firme d’America: le più ridicolamente d’estrema sinistra reagiscono ai miei post con invettive antisemite inaudite. Ma va bene così, perché il mio mestiere è provocare». Una passione, questa, che rischia di costargli due anni di carcere in Italia, dove è stato denunciato dal Gip Clementina Forleo per aver osato, in un’intervista del 2005, definire «vergognosa » la sua decisione di assolvere cinque militanti islamici dal reato di terrorismo internazionale. «Il caso dimostra come il sistema giudiziario italiano non contempli neppure la liberta d’espressione. Ma il mio Paese non accetterà mai l’idea medievale che un cittadino Usa sia perseguito all’estero per un’opinione espressa in patria, dove il primo emendamento ne tutela la liberta di parola. Il dipartimento di Stato mi ha confermato che sono il primo americano della storia ad essere incriminato in Italia per un’opinione espressa a casa mia».
Le pecche del Belpaese sono anche altre. «Mi duole dover dire che è troppo morbido coi terroristi, e non parlo solo dell’'Achille Lauro'. Obama sa di non poter contare sull’Italia come alleato affidabile nella guerra contro il terrorismo alla stregua di Francia e Inghilterra. Da voi e in Spagna, poi, il potere giudiziario è in mano a magistrati d’estrema sinistra che considerano i terroristi combattenti per la libertà».
La morale cattolica buonista? «Non c’entra. Al contrario, penso che il ruolo del Vaticano sia e continui ad essere estremamente positivo sul versante dei diritti umani e civili e della tutela dei poveri, immigrati e deboli in generale».
NEW YORK — In Italia Alan Dershowitz è di casa dal 1974. Allora si recò nel nostro Paese per incontrare Umberto Terracini, dirigente del Pci d’origine ebraica favorevole a una politica più pro-Israele. Dopo 35 anni il giurista-scrittore di Harvard, paladino dei diritti civili, torna a Roma con una missione: frenare l’ondata di odio anti-israeliano che, mette in guardia, «oggi non scaturisce più soltanto dalle forze estremiste».
La sua tournée italiana è stata organizzata da Amy Rosenthal, docente di Relazioni internazionali all’American University di Roma e comprende anche un incontro con alcuni deputati, tra cui Fiamma Nirenstein. L’occasione: l’uscita in Italia del libro Processo ai nemici di Israele (Eurilink editore), dove Dershowitz mette sotto accusa l’intellighenzia occidentale: «Intellettuali — spiega — come lo scrittore spagnolo Antonio Gala, secondo cui gli ebrei meritano un altro Olocausto se non abbandonano Israele».
Nella sua lista nera: l’ex presidente Usa Jimmy Carter (che ha scritto Palestine. Peace not Apartheid) e Stephen Walt e John Mearsheimer, autori di La Israel Lobby e la politica estera americana (Mondadori). «Mi preoccupa che la retorica anti-israeliana più violenta non appartenga più a frange dell’estrema sinistra, ma al mainstream », precisa Dershowitz, che cita i Nobel Harold Pinter, Carter, José Saramago e Desmond Tutu, oltre a Noam Chomsky («studioso di fama mondiale»), ma non Norman Finkelstein, «spazzatura che nessuno prende sul serio».
A Roma Dershowitz approda dopo i riflettori di Durban II, dove è stato allontanato quando si accingeva a sfidare il presidente iraniano Ahmadinejad. «Ad applaudire con più entusiasmo le sue farneticanti esternazioni sull’Olocausto e Israele — accusa — erano purtroppo gli ebrei barbuti del Neturei Karta. Un gruppo che auspica l’annullamento totale del sionismo».
L’ebreo antisemita: un ossimoro che lo tormenta. «L’odio anti-israeliano è diventato una sorta di rito d’iniziazione. Per essere accettati nell’estrema sinistra agli ebrei si chiede di diventare più anti-israeliani degli arabi e più palestinesi dei palestinesi, buttando alle ortiche la propria eredità». Si tratta, teorizza, di un ritorno all’Inquisizione, «quando eravamo costretti a convertirci e a diventare più cattolici del Papa. Gli ebrei disposti a vendere l’anima al diavolo esistono da sempre».
Il suo assillo oggi è spiegare al mondo che non bisogna essere di destra per amare Israele. «Barack Obama, Hillary Clinton, Ted Kennedy, Irwin Cotler ed io siamo tutti liberal e pro-Israele, come il resto della sinistra moderata Usa». La sua coscienza sionista è germogliata a Williamsburg, il quartiere di Brooklyn dove è nato nel 1938 da una coppia di origine polacca: Claire, computista, e Harry, fondatore della Young Israel Synagogue: «I miei erano ebrei ortodossi ma moderni. Da piccolo giocavo a baseball e correvo dietro alle ragazze come i miei amici protestanti e cattolici. Oggi l’ebraismo è spaccato in due tra ultraortodossi e laici: il tipo di quartiere dove sono cresciuto io non esiste più in America».
A 14 anni aveva trovato il primo lavoro, alla Sohn Delicatessen, una fabbrica di insaccati kosher della Lower East Side. «Dovevo annodare lo spago tra un hot dog e l’altro e un giorno rimasi chiuso nel freezer». Dopo la laurea in legge a Yale nel 1962, nel ’67, a solo 28 anni, diventa il più giovane docente in legge nella storia di Harvard, dove, tra gli ex alunni, annovera Eliot Spitzer, John Sexton, Joe Klein, Barack e Michelle Obama. Difendere gli emarginati era nel suo Dna. Si fa strada come avvocato dei poveri e dei bistrattati, per esempio dei condannati a morte di colore. «La pena capitale è un’atrocità razzista che li penalizza. E solo quando la vittima è bianca». Ma tra i suoi clienti ci sono pure Vip ricchi e famosi come Patricia Hearst, Mike Tyson, Michael Milken. «Certo, ma la metà dei miei assistiti non paga un centesimo », ribatte. Di O.J. Simpson, assolto col suo aiuto, dice che «non comparirà tra i processi del secolo accanto a Norimberga, ai coniugi Rosenberg o Sacco e Vanzetti, e sarà scordato dalla storia».
Per assicurarsi l’immortalità abbandona spesso la toga di avvocato, per indossare i panni di scrittore prolifico, autore di ben trenta saggi, tra cui i bestseller Reversal of Fortune e
Chutzpah. «Scrivo ogni giorno dalle tremila alle quattromila parole. La mia segretaria le ha contate: un milione l’anno, oltre 40 milioni in tutto. Però non so usare il computer e scrivo solo a penna».
Dershowitz ha appena ultimato il suo terzo romanzo: The Trial of Zion,
un thriller legale che parte da un attentato terroristico per esplorare, attraverso cinque famiglie, il conflitto ebraico-palestinese in Terra Santa dal 1885 ad oggi. Nel 1994 aveva pubblicato Il demone dell’avvocato (Mondadori), il suo primo lavoro di fiction (la storia semiautobiografica di un avvocato alle prese con un cliente colpevole e pericoloso) e nel 1999 Just Revenge, ispirato allo sterminio della famiglia materna durante l’Olocausto. «Sono stato influenzato da Emanuel Ringelblum, che ha immortalato l’esperienza nel ghetto di Varsavia nascondendo i diari in cartoni del latte sottoterra. E da Elie Wiesel, oggi mio caro amico. Non parlo solo de La notte ma anche de Gli ebrei del silenzio che mi spinse ad andare in Unione Sovietica e a lavorare dieci anni per gli ebrei russi». I suoi libri preferiti? « I fratelli Karamazov, Anna
Karenina, Il Principe di Machiavelli. E poi l’opera omnia di Philip Roth, Primo Levi, Amos Oz e Saul Bellow».
Alan Dershowitz oggi è anche un famoso blogger, per l’«Huffington Post», il «Jerusalem Post» e «Front Page». «Sull’'Huffington Post' scrivono le migliori e le peggiori firme d’America: le più ridicolamente d’estrema sinistra reagiscono ai miei post con invettive antisemite inaudite. Ma va bene così, perché il mio mestiere è provocare». Una passione, questa, che rischia di costargli due anni di carcere in Italia, dove è stato denunciato dal Gip Clementina Forleo per aver osato, in un’intervista del 2005, definire «vergognosa » la sua decisione di assolvere cinque militanti islamici dal reato di terrorismo internazionale. «Il caso dimostra come il sistema giudiziario italiano non contempli neppure la liberta d’espressione. Ma il mio Paese non accetterà mai l’idea medievale che un cittadino Usa sia perseguito all’estero per un’opinione espressa in patria, dove il primo emendamento ne tutela la liberta di parola. Il dipartimento di Stato mi ha confermato che sono il primo americano della storia ad essere incriminato in Italia per un’opinione espressa a casa mia».
Le pecche del Belpaese sono anche altre. «Mi duole dover dire che è troppo morbido coi terroristi, e non parlo solo dell’'Achille Lauro'. Obama sa di non poter contare sull’Italia come alleato affidabile nella guerra contro il terrorismo alla stregua di Francia e Inghilterra. Da voi e in Spagna, poi, il potere giudiziario è in mano a magistrati d’estrema sinistra che considerano i terroristi combattenti per la libertà».
La morale cattolica buonista? «Non c’entra. Al contrario, penso che il ruolo del Vaticano sia e continui ad essere estremamente positivo sul versante dei diritti umani e civili e della tutela dei poveri, immigrati e deboli in generale».
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