martedì 7 aprile 2009

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Solo Clinton e Blair contro Saddam
Repubblica — 06 febbraio 1998 pagina 11 sezione: POLITICA ESTERA
NEW YORK - Bill Clinton è tra due fuochi. Da un lato molti leader repubblicani e democratici del Congresso, capeggiati da Newt Gingrich e appoggiati da esperti militari, gli chiedono di sferrare un attacco massiccio sull' Iraq con l' obiettivo di eliminare fisicamente, una volta per tutte, Saddam Hussein. Dall' altro la Russia, la Cina e in modi più ambigui anche la Francia si oppongono a ogni azione di forza contro Bagdad. In questa situazione il presidente americano prende una posizione intermedia: continua a minacciare un intervento militare in tempi brevi, esclude l' uccisione di Saddam e si augura soprattutto che gli sforzi diplomatici abbiano successo. "Dai tempi di Gerald Ford abbiamo il divieto di assassinare i leaders stranieri" ha ricordato Clinton, ricevendo ieri alla Casa Bianca il premier britannico Tony Blair, che è anche un suo amico personale e il più fedele alleato nella crisi del Golfo. "Certo, un cambiamento di leadership a Bagdad sarebbe la soluzione migliore per il popolo iracheno. Ma il nostro obiettivo è un altro: vogliamo impedire che Saddam Hussein disponga delle armi di distruzione di massa, sia chimiche che batteriologiche, che ha già usato nel passato. Per questo pretendiamo che rispetti le risoluzioni dell' Onu permettendo l' accesso incondizionato degli ispettori". "Non vogliamo il conflitto, ma una soluzione diplomatica" ha insistito il presidente. "Siamo però pronti a imporre la volontà internazionale". "Tutti desiderano una strada pacifica" gli ha fatto eco il premier inglese. "Ma Saddam Hussein deve essere fermato negli interessi di lungo termine dell' umanità mondo". E ieri Clinton e Blair, prima in una colazione di lavoro alla Casa Bianca, poi in una cena ufficiale (allietata anche da Elton John e Steve Wonder), hanno discusso dei piani militari che, in caso di raid, vedrebbero fianco a fianco unità americane e britanniche. Nel Golfo è già arrivata la portaerei Invincible della marina di Sua Maestà e il Pentagono ha annunciato lo spostamento del ventiquattresimo corpo dei Marines, a bordo del portaelicotteri Guam, che si aggiungerà alle tre portaerei, due incrociatori, due sottomarini d' attacco, centosettantaquattro aerei e millecinquecento soldati già in posizione strategica. La speranza, naturalmente, è che questi preparativi militari, assieme alle minacce verbali, convincano Saddam Hussein che Stati Uniti e Gran Bretagna fanno sul serio. E che ha interesse a desistere, a cambiare rotta, ad accettare senza riserve le ispezioni dell' Onu. "Del resto - fanno notare al dipartimento di Stato - l' escalation ha già avuto qualche effetto, se è vero che l' Iraq non usa più i toni arroganti di qualche giorno fa". Washington e Londra sostengono di poter agire militarmente anche senza una apposita risoluzione del Consiglio di sicurezza. Ma naturalmente si rendono conto dei rischi e dei costi di una azione unilaterale osteggiata dagli altri membri permanenti del consiglio, cioè Mosca, Pechino e Parigi. Tutte e tre le capitali, ieri, hanno ripetuto le loro obiezioni. Boris Eltsin, che mercoledì aveva parlato in modo generico e un po' contraddittorio di "pericoli di guerra mondiale", ha detto che la Russia "non permetterà un attacco americano". Il ministro degli Esteri di Pechino Qian Qichen ha spiegato le ragioni dell' opposizione cinese: "L' intervento farebbe moltissime vittime, aggraverebbe la crisi nella regione e potrebbe creare nuovi conflitti". Il ministro Hubert Vedrin ha escluso una partecipazione francese all' eventuale raid e ha osservato, in una lettera a Madeleine Albright e in una intervista a Europe 1, che "un' azione militare non risolverebbe i problemi". Clinton ha risposto solo indirettamente alle dichiarazioni cino-russo-francesi: limitandosi, ieri, a ricordare che nella conversazione telefonica anche Eltsin sembrava condividere la necessità di risolvere il problema. "So che il presidente russo vorrebbe evitare un confronto militare, anche noi abbiamo la stessa speranza. Ma è tutto in mano a Saddam Hussein: l' esito della crisi dipende da lui". -
dal nostro corrispondente ARTURO ZAMPAGLIONE
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/02/06/solo-clinton-blair-contro-saddam.html

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