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Giovedì 09 Aprile 2009 09:40
CR n.1087 del 10/4/2009
Recentemente, il presidente della Camera, l’onorevole Gianfranco Fini, in occasione del I Congresso del Popolo della Libertà, ha detto che la legge sul biotestamento, che sta maturando alle Camere, sarebbe poco “laica”, anzi addirittura da “Stato etico”. Ma cos’è lo “Stato etico”? E perché l’accusa del presidente Fini è impropria?
Prima di tutto va detto che il concetto di “Stato etico” non va confuso con quello di “Stato organico” o “tradizionale”.
Quest’ultimo è lo Stato che, pur partendo da un’autonomia nei confronti della legge soprannaturale, riconosce la legge naturale e si costruisce “organicamente” (anche da ciò la definizione di “Stato organico”) su questo riconoscimento. Lo “Stato etico”, invece, è quello Stato che, non riconoscendo alcun limite al di fuori di sé e quindi non riconoscendo un diritto naturale oggettivo, si organizza su un’intrinseca visione delle cose, cioè su una visione delle cose partorita da sé medesimo.
“Stato etico” non significa Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì Stato che crea la morale; “etico” in quanto pone se stesso come fonte dell’etica; “etico” in quanto incapace di lasciarsi giudicare e quindi ammettere un giudizio al di fuori di sé. C’è un secondo punto da tener presente. Spesso si crede che uno Stato che si ponga in maniera neutra rispetto alle varie visioni della vita sarebbe l’antidoto a qualsiasi deriva di “Stato etico”. Niente affatto: come dimostra la dominante dittatura del relativismo, il rifiutare qualsiasi giudizio già è prediligere una ben precisa visione della vita, ovvero quella di non avere alcun giudizio.
Ma vediamo dove è l’errore di parlare così a sproposito di “Stato etico”. Il presidente Fini sembra non capire che ciò che evita la deriva verso uno Stato etico è proprio il riconoscimento di una morale oggettiva e metafisicamente fondata, ovvero fondata fuori della Storia e quindi fuori dello Stato. Infatti, è proprio la legge naturale che pone l’uomo (ogni uomo!) come fine dello Stato e non a servizio di esso. Si tenga ben presente che il totalitarismo è appunto il ritenere che l’uomo sia in funzione dello Stato e non viceversa.
Lo ripetiamo: lo “Stato etico” non è lo Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì lo Stato che diventa fondamento di se stesso, che pretende di trovare la sua ragion d’essere nelle dinamiche istituzionali e in un diritto positivo, esito delle decisioni di pochi o della maggioranza. Se l’esempio dell’aborto può non essere gradito, se ne può fare un altro: si vota per decidere se gli uomini che hanno militato in partiti filo-fascisti, distaccandosene successivamente, debbano o meno proseguire l’attività politica.
Poniamo che vincano i “sì”, sarebbe questa una palese ingiustizia? Evidentemente sì. Eppure una tale decisione sarebbe frutto della maggioranza. Ebbene, ciò dimostra che la garanzia della vera libertà è proprio ammettere una morale al di fuori dello Stato e delle sue dinamiche politico-istituzionali.
Lo Stato deve riconoscere la verità; non può crearla. Se ha questa pretesa, diventa, appunto, “Stato etico”, trasformando la forza del diritto in diritto della forza. È quanto afferma Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus Annus, quando scrive: «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (n. 46). Si tenga presente che in questo caso con il termine “valori” si intende ciò che è metafisicamente fondato.
Dunque il Papa ha voluto dire che una democrazia, incapace di riconoscere una legge naturale oggettiva, inevitabilmente si trasforma in totalitarismo.
Lo Stato che riconosce la legge naturale e cristiana è il migliore antidoto allo “Stato etico” totalitario e al “non-Stato” relativista.
Giovedì 09 Aprile 2009 09:40
CR n.1087 del 10/4/2009
Recentemente, il presidente della Camera, l’onorevole Gianfranco Fini, in occasione del I Congresso del Popolo della Libertà, ha detto che la legge sul biotestamento, che sta maturando alle Camere, sarebbe poco “laica”, anzi addirittura da “Stato etico”. Ma cos’è lo “Stato etico”? E perché l’accusa del presidente Fini è impropria?
Prima di tutto va detto che il concetto di “Stato etico” non va confuso con quello di “Stato organico” o “tradizionale”.
Quest’ultimo è lo Stato che, pur partendo da un’autonomia nei confronti della legge soprannaturale, riconosce la legge naturale e si costruisce “organicamente” (anche da ciò la definizione di “Stato organico”) su questo riconoscimento. Lo “Stato etico”, invece, è quello Stato che, non riconoscendo alcun limite al di fuori di sé e quindi non riconoscendo un diritto naturale oggettivo, si organizza su un’intrinseca visione delle cose, cioè su una visione delle cose partorita da sé medesimo.
“Stato etico” non significa Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì Stato che crea la morale; “etico” in quanto pone se stesso come fonte dell’etica; “etico” in quanto incapace di lasciarsi giudicare e quindi ammettere un giudizio al di fuori di sé. C’è un secondo punto da tener presente. Spesso si crede che uno Stato che si ponga in maniera neutra rispetto alle varie visioni della vita sarebbe l’antidoto a qualsiasi deriva di “Stato etico”. Niente affatto: come dimostra la dominante dittatura del relativismo, il rifiutare qualsiasi giudizio già è prediligere una ben precisa visione della vita, ovvero quella di non avere alcun giudizio.
Ma vediamo dove è l’errore di parlare così a sproposito di “Stato etico”. Il presidente Fini sembra non capire che ciò che evita la deriva verso uno Stato etico è proprio il riconoscimento di una morale oggettiva e metafisicamente fondata, ovvero fondata fuori della Storia e quindi fuori dello Stato. Infatti, è proprio la legge naturale che pone l’uomo (ogni uomo!) come fine dello Stato e non a servizio di esso. Si tenga ben presente che il totalitarismo è appunto il ritenere che l’uomo sia in funzione dello Stato e non viceversa.
Lo ripetiamo: lo “Stato etico” non è lo Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì lo Stato che diventa fondamento di se stesso, che pretende di trovare la sua ragion d’essere nelle dinamiche istituzionali e in un diritto positivo, esito delle decisioni di pochi o della maggioranza. Se l’esempio dell’aborto può non essere gradito, se ne può fare un altro: si vota per decidere se gli uomini che hanno militato in partiti filo-fascisti, distaccandosene successivamente, debbano o meno proseguire l’attività politica.
Poniamo che vincano i “sì”, sarebbe questa una palese ingiustizia? Evidentemente sì. Eppure una tale decisione sarebbe frutto della maggioranza. Ebbene, ciò dimostra che la garanzia della vera libertà è proprio ammettere una morale al di fuori dello Stato e delle sue dinamiche politico-istituzionali.
Lo Stato deve riconoscere la verità; non può crearla. Se ha questa pretesa, diventa, appunto, “Stato etico”, trasformando la forza del diritto in diritto della forza. È quanto afferma Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus Annus, quando scrive: «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (n. 46). Si tenga presente che in questo caso con il termine “valori” si intende ciò che è metafisicamente fondato.
Dunque il Papa ha voluto dire che una democrazia, incapace di riconoscere una legge naturale oggettiva, inevitabilmente si trasforma in totalitarismo.
Lo Stato che riconosce la legge naturale e cristiana è il migliore antidoto allo “Stato etico” totalitario e al “non-Stato” relativista.
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