venerdì 24 aprile 2009
giovedì 23 aprile 2009
Per Marshall in particolare.
Giorgio Napolitano, un vile 20/11/2005
di Davide Giacalone
di Davide Giacalone
La viltà è il desiderio, sempre e comunque, di sfuggire al pericolo. La viltà è il desiderio di non portare mai il peso delle proprie azioni. Giorgio Napolitano è un vile, talmente pieno di sé da consegnare alle stampe un'autobiografia ("Dal Pci al socialismo europeo", Laterza) che lo documenta. Scrivo questo senza nessuna soddisfazione, anzi, con molto rammarico, perché Napolitano è un uomo cui guardammo con interesse, sperando in un possibile, e sempre necessario, dialogo a sinistra. Non immaginavo quanto profonda fosse la malattia morale indotta, nel comunismo italiano, dalla lunga pratica della doppia verità.
La raccolta delle proprie memorie, quando si raggiunge una certa età (l'autore ha superato gli ottanta anni, ed è anche stato nominato senatore a vita), può essere un atto di generosità. Lo sforzo di rileggere gli eventi e le passioni alla luce di una maturazione giunta a compimento. La voglia di cogliere la verità dei fatti, al di là delle interpretazioni di comodo. Ma per vergare pagine di questo tipo occorre un coraggio ed un'onesta che a Napolitano mancano. Il lettore, in un certo senso, viene messo sull'avviso proprio alla prima pagina, dove si trova scritta una strana frase: "Parlo della storia ?tra il 1944 e il 1991- della sinistra italiana e del suo maggiore partito, collocato nel movimento comunista internazionale e poi distaccatosene attraverso un tormentato sforzo di ricerca e di revisione". E' strana perché il lettore ha come l'impressione che sia esistita una storia di rottura fra il comunismo italiano e quello sovietico, o internazionale, mentre, invece, i comunisti italiani tennero un congresso a Roma, nel marzo del 1989, dove ancora rivendicarono con orgoglio di essere il "grande Partito Comunista Italiano", e cambiarono nome, non cambiando altro che il nome, un anno dopo, con il congresso di Bologna. Fu la storia a trascinarli, non certo loro a precederla, avendone compreso il percorso. Ciò significa che le vicende raccontate da Napolitano riguardano, per quarantasei quarantasettesimi il Pci, mica quella circonvoluta roba che si legge nella prima pagina.
Andando avanti, pagina dopo pagina, vicenda dopo vicenda, ci si rende conto che Napolitano è un maestro di dissimulazione ed omissione, del dire e non dire, senza mai affondare il coltello della critica, dell'analisi originale, di un dietro le quinte che non riguardi inutili episodi tratti dalle vacanze capresi di Togliatti. E la viltà raggiunge la sua monumentale consistenza quando si arriva al tema dei finanziamenti sovietici al Pci. Una storia interessante, tutta da scrivere, e che Napolitano deve conoscere assi bene, perché fu giovane influente inviato in missione a Mosca, perché fu responsabile organizzativo del Pci, ne fu vice segretario, fu responsabile economico e fu responsabile della sua politica estera. Una testimonianza interessante, la sua.
Ma tutto si riduce ad una pagina, una pagina, la 173. Una pagina su 331. Ed in quell'unica pagina mente. Mente perché, con il tono delle grandi rivelazioni, scrive che i comunisti italiani furono finanziati da quelli sovietici, poi, però, si nasconde dietro le parole di Gianni Cervetti ("L'Oro di Mosca", Baldini & Castoldi, pubblicato nel 1993) per affermare che quei finanziamenti furono interrotti, per volontà di Berlinguer, Chiaromonte e Cervetti, nel 1978. Il che è falso. Totalmente falso.
E' falso perché lo ha documentato Vladimir Bukovskij (un dissidente che se ne stava nei Gulag, mentre Napolitano ed i suoi compagni riscuotevano i soldi sporchi di sangue, elargiti dalla medesima mano che edificava i campi di concentramento), che ha raccolto documenti importanti e non smentiti ("Gli archivi segreti di Mosca", Spirali), ed alcuni di questi riguardano la Interexpo, società guidata dal "compagno L. Remigio", per il tramite della quale, nel 1983 il Pci chiede a Mosca "ulteriori finanziamenti". Prego osservare la data, 1983, ed il non secondario "ulteriori". E li ebbero, giacché quelli sono gli anni in cui i comunisti italiani sono impegnati a colpire la sinistra democratica italiana, rea di avere consentito alla giusta scelta di schierare i missili nucleari occidentali, contro gli SS20 sovietici. Sono gli anni in cui vestono una delle loro giubbe "pacifiste". La pace di Gulag, solo appena più operosa di quella dei cimiteri.
E' falso perché lo ha documentato Giuseppe Averardi ("Le carte del Pci", Piero Laicata Editore), utilizando appunti e note di Eugenio Reale e descrivendo il meccanismo di finanziamento illecito che utilizzava una fitta rete di società d'intermediazione (come la Interexpo, appunto), che non intermediavano un bel nulla ma riscuotevano tangenti per i comunisti italiani.
E' falso perché il magistrato russo Sergej Aristov parla di finanziamenti giunti fino al 1991, così come risulta da un documento datato 17 gennaio 1898, classificato come rigorosamente segreto e destinato a Vladimir Chruscev, uno dei capi del Kgb, un documento intitolato: "Aiuti finanziari supplementari per il Pci". Prego notare la data, 1989, ed il suggestivo "supplementari". Di tutto questo ha mai sentito parlare, l'onorevole Napolitano? Lo sa che Aristov aveva chiesto l'assistenza e la collaborazione di Giovanni Falcone, e che questo era l'incontro in programma al suo rientro a Roma, se non lo avessero ammazzato a Capaci? Ha mai letto niente, di tutto questo, l'onorevole Napolitano? Riesce ad immaginare cosa si sarebbe scritto e fatto se al rientro a Roma Falcone avesse dovuto incontrare Aristov per scandagliare le amicizie di Andreotti o i conti di Craxi?
Certo, so che queste cose non si leggono spesso, talché io stesso, scrivendole, mi conquisterò il compatimento di chi m'immagina giapponese renitente all'armistizio, in guerra contro comunisti immaginari che esistono solo nella mia malata fantasia ed in quella corrotta da Arcore. Capita, difatti, che la grande forza dei preti senza più un dio, dei comunisti senza più comunismo, ancora si esercita sul mercato italiano delle idee e delle conoscenze, complice una destra di analfabeti d'andata e ritorno. Ma Napolitano è uomo di cultura, di buone letture, è escluso che ai suoi occhi non siano mai comparse queste notizie, e, allora, perché non commentarle, perché non smentirle, perché tenere tutto in una ridicolissima e rivelatrice pagina? Per viltà. Perché il passato che questi uomini hanno alle spalle fa così orrore, copre ancora le grida delle vittime, da non consentire loro di guardarlo in faccia senza perdere la capacità di guardarsi in faccia. Quindi meglio affidarsi ad un linguaggio che avrei definito democristiano, se non fosse che non conosco un solo democristiano che abbia da tacere tanto sul passato proprio e dei propri compagni di partito.
Altri uomini, altri comunisti, come Giovanni Pellegrino, hanno avuto la forza ed il coraggio di rimestare criticamente nella nostra storia recente, non si sono autorisparmiati, pur compiendo lo sforzo di collocare i propri comportamenti nel clima e nel contesto in cui i fatti si svolsero. Il capitolo dei finanziamenti sovietici ai comunisti italiani è uno di quelli senza il quale non si è in grado di capire nulla, né del dibattito politico nella sinistra, né della storia italiana del dopoguerra. Ma, evidentemente, al contrario di quel che Pellegrino ha fatto per gli anni del giustizialismo, queste altre sono cose di cui è ancora difficile e pericoloso rivelare dimensioni reali e complicità taciute. Alcuni canali di scolo dei dollari russi ancora non si sono prosciugati. O, comunque, non è compito che abbia assolto la debole penna di Grigio Napolitano.
http://www.davidegiacalone.it/index.php/costume/giorgio_napolitano_un_vile
La raccolta delle proprie memorie, quando si raggiunge una certa età (l'autore ha superato gli ottanta anni, ed è anche stato nominato senatore a vita), può essere un atto di generosità. Lo sforzo di rileggere gli eventi e le passioni alla luce di una maturazione giunta a compimento. La voglia di cogliere la verità dei fatti, al di là delle interpretazioni di comodo. Ma per vergare pagine di questo tipo occorre un coraggio ed un'onesta che a Napolitano mancano. Il lettore, in un certo senso, viene messo sull'avviso proprio alla prima pagina, dove si trova scritta una strana frase: "Parlo della storia ?tra il 1944 e il 1991- della sinistra italiana e del suo maggiore partito, collocato nel movimento comunista internazionale e poi distaccatosene attraverso un tormentato sforzo di ricerca e di revisione". E' strana perché il lettore ha come l'impressione che sia esistita una storia di rottura fra il comunismo italiano e quello sovietico, o internazionale, mentre, invece, i comunisti italiani tennero un congresso a Roma, nel marzo del 1989, dove ancora rivendicarono con orgoglio di essere il "grande Partito Comunista Italiano", e cambiarono nome, non cambiando altro che il nome, un anno dopo, con il congresso di Bologna. Fu la storia a trascinarli, non certo loro a precederla, avendone compreso il percorso. Ciò significa che le vicende raccontate da Napolitano riguardano, per quarantasei quarantasettesimi il Pci, mica quella circonvoluta roba che si legge nella prima pagina.
Andando avanti, pagina dopo pagina, vicenda dopo vicenda, ci si rende conto che Napolitano è un maestro di dissimulazione ed omissione, del dire e non dire, senza mai affondare il coltello della critica, dell'analisi originale, di un dietro le quinte che non riguardi inutili episodi tratti dalle vacanze capresi di Togliatti. E la viltà raggiunge la sua monumentale consistenza quando si arriva al tema dei finanziamenti sovietici al Pci. Una storia interessante, tutta da scrivere, e che Napolitano deve conoscere assi bene, perché fu giovane influente inviato in missione a Mosca, perché fu responsabile organizzativo del Pci, ne fu vice segretario, fu responsabile economico e fu responsabile della sua politica estera. Una testimonianza interessante, la sua.
Ma tutto si riduce ad una pagina, una pagina, la 173. Una pagina su 331. Ed in quell'unica pagina mente. Mente perché, con il tono delle grandi rivelazioni, scrive che i comunisti italiani furono finanziati da quelli sovietici, poi, però, si nasconde dietro le parole di Gianni Cervetti ("L'Oro di Mosca", Baldini & Castoldi, pubblicato nel 1993) per affermare che quei finanziamenti furono interrotti, per volontà di Berlinguer, Chiaromonte e Cervetti, nel 1978. Il che è falso. Totalmente falso.
E' falso perché lo ha documentato Vladimir Bukovskij (un dissidente che se ne stava nei Gulag, mentre Napolitano ed i suoi compagni riscuotevano i soldi sporchi di sangue, elargiti dalla medesima mano che edificava i campi di concentramento), che ha raccolto documenti importanti e non smentiti ("Gli archivi segreti di Mosca", Spirali), ed alcuni di questi riguardano la Interexpo, società guidata dal "compagno L. Remigio", per il tramite della quale, nel 1983 il Pci chiede a Mosca "ulteriori finanziamenti". Prego osservare la data, 1983, ed il non secondario "ulteriori". E li ebbero, giacché quelli sono gli anni in cui i comunisti italiani sono impegnati a colpire la sinistra democratica italiana, rea di avere consentito alla giusta scelta di schierare i missili nucleari occidentali, contro gli SS20 sovietici. Sono gli anni in cui vestono una delle loro giubbe "pacifiste". La pace di Gulag, solo appena più operosa di quella dei cimiteri.
E' falso perché lo ha documentato Giuseppe Averardi ("Le carte del Pci", Piero Laicata Editore), utilizando appunti e note di Eugenio Reale e descrivendo il meccanismo di finanziamento illecito che utilizzava una fitta rete di società d'intermediazione (come la Interexpo, appunto), che non intermediavano un bel nulla ma riscuotevano tangenti per i comunisti italiani.
E' falso perché il magistrato russo Sergej Aristov parla di finanziamenti giunti fino al 1991, così come risulta da un documento datato 17 gennaio 1898, classificato come rigorosamente segreto e destinato a Vladimir Chruscev, uno dei capi del Kgb, un documento intitolato: "Aiuti finanziari supplementari per il Pci". Prego notare la data, 1989, ed il suggestivo "supplementari". Di tutto questo ha mai sentito parlare, l'onorevole Napolitano? Lo sa che Aristov aveva chiesto l'assistenza e la collaborazione di Giovanni Falcone, e che questo era l'incontro in programma al suo rientro a Roma, se non lo avessero ammazzato a Capaci? Ha mai letto niente, di tutto questo, l'onorevole Napolitano? Riesce ad immaginare cosa si sarebbe scritto e fatto se al rientro a Roma Falcone avesse dovuto incontrare Aristov per scandagliare le amicizie di Andreotti o i conti di Craxi?
Certo, so che queste cose non si leggono spesso, talché io stesso, scrivendole, mi conquisterò il compatimento di chi m'immagina giapponese renitente all'armistizio, in guerra contro comunisti immaginari che esistono solo nella mia malata fantasia ed in quella corrotta da Arcore. Capita, difatti, che la grande forza dei preti senza più un dio, dei comunisti senza più comunismo, ancora si esercita sul mercato italiano delle idee e delle conoscenze, complice una destra di analfabeti d'andata e ritorno. Ma Napolitano è uomo di cultura, di buone letture, è escluso che ai suoi occhi non siano mai comparse queste notizie, e, allora, perché non commentarle, perché non smentirle, perché tenere tutto in una ridicolissima e rivelatrice pagina? Per viltà. Perché il passato che questi uomini hanno alle spalle fa così orrore, copre ancora le grida delle vittime, da non consentire loro di guardarlo in faccia senza perdere la capacità di guardarsi in faccia. Quindi meglio affidarsi ad un linguaggio che avrei definito democristiano, se non fosse che non conosco un solo democristiano che abbia da tacere tanto sul passato proprio e dei propri compagni di partito.
Altri uomini, altri comunisti, come Giovanni Pellegrino, hanno avuto la forza ed il coraggio di rimestare criticamente nella nostra storia recente, non si sono autorisparmiati, pur compiendo lo sforzo di collocare i propri comportamenti nel clima e nel contesto in cui i fatti si svolsero. Il capitolo dei finanziamenti sovietici ai comunisti italiani è uno di quelli senza il quale non si è in grado di capire nulla, né del dibattito politico nella sinistra, né della storia italiana del dopoguerra. Ma, evidentemente, al contrario di quel che Pellegrino ha fatto per gli anni del giustizialismo, queste altre sono cose di cui è ancora difficile e pericoloso rivelare dimensioni reali e complicità taciute. Alcuni canali di scolo dei dollari russi ancora non si sono prosciugati. O, comunque, non è compito che abbia assolto la debole penna di Grigio Napolitano.
http://www.davidegiacalone.it/index.php/costume/giorgio_napolitano_un_vile
mercoledì 22 aprile 2009
Furbi e gonzi
Premesso che quanto scrivo è anche frutto di presunzioni e deduzioni, mi vien però da dire che chi crede nel personaggio in questione, come ad uno stinco di santo, è un gran credulone.
Il personaggio in questione, da quando si è messo in politica, continuerebbe ad inanellare arricchimenti dopo gli altri. E, non pago di ciò, ora pare essere diventato anche esperto di elusioni fiscali a fini strettamente personali. Infatti, non pago dei presunti arricchimenti, ora s'ingegnerebbe anche ad eludere il fisco.
Sono questi i valori che vorrebbe inculcare agli italiani? E di cui si vanterebbe, facendone la propria bandiera politica? Se i fatti verranno appurati e confermati, saranno stati dei gonzi tutti coloro che han creduto in lui come ad un salvatore della patria.
Poco fa, su Radio Padania Libera, hanno fatto un escursus, traendolo da un quotidiano, sulle proprietà immobiliari del personaggio in questione. Sembra siano nove, o più, tutti tra Italia e Lussemburgo, e tutti intestati a prestanomi, gli immobili da lui posseduti. Non pago di ciò, ora si sarebbe pure inventato coltivatore diretto, iscrivendosi al relativo albo.
E per farne che? Come pare ovvio, per poter usufruire di incentivi, sgravi fiscali, imposte agevolate ecc.
Nel corso della mia vita ho conosciuto qualche coltivatore diretto improprio. Improprio nel senso che in realtà faceva tutt'altro. Erano per lo più trasportatori, venditori ambulanti, casalinghe. Insomma, tutte persone che avevano escogitato quel modo per eludere il fisco. Ciò era, e forse lo è ancora, consentito dalle leggi, ma molti approfittavano, e taluni alla grande, come forse potrebbe essere il caso del personaggio in questione.
Per questo motivo, secondo me, ci sono in Italia un discreto numero di gonzi creduloni.
Costui, le proprietà suppongo se le sia create da quando è in politica, perchè prima era uno squattrinato che viaggiava a bordo di una Fiat 127. E visto che a questo punto molti tirerebbero in ballo le ricchezze di Berlusconi, ben diverso è stato l'escursus di costui, che i soldi li ha fatti col lavoro, e prima di entrare in politica. E su questo punto, se qualcuno avesse da obiettare il contrario, avrei argomenti validi a riguardo. Sono stato infatti piccolo azionista di tutte e tre le aziende partecipate dalla famiglia Berlusconi: Mediaset, Mondadori e Mediolanum; e, da quando Berlusconi è in politica, i piccoli azionisti di tali società stanno registrando notevoli capital loss (perdite di capitale). Pertanto, chi afferma che Berlusconi ha fatto i soldi con la politica, dice una falsità.
Il personaggio in questione, da quando si è messo in politica, continuerebbe ad inanellare arricchimenti dopo gli altri. E, non pago di ciò, ora pare essere diventato anche esperto di elusioni fiscali a fini strettamente personali. Infatti, non pago dei presunti arricchimenti, ora s'ingegnerebbe anche ad eludere il fisco.
Sono questi i valori che vorrebbe inculcare agli italiani? E di cui si vanterebbe, facendone la propria bandiera politica? Se i fatti verranno appurati e confermati, saranno stati dei gonzi tutti coloro che han creduto in lui come ad un salvatore della patria.
Poco fa, su Radio Padania Libera, hanno fatto un escursus, traendolo da un quotidiano, sulle proprietà immobiliari del personaggio in questione. Sembra siano nove, o più, tutti tra Italia e Lussemburgo, e tutti intestati a prestanomi, gli immobili da lui posseduti. Non pago di ciò, ora si sarebbe pure inventato coltivatore diretto, iscrivendosi al relativo albo.
E per farne che? Come pare ovvio, per poter usufruire di incentivi, sgravi fiscali, imposte agevolate ecc.
Nel corso della mia vita ho conosciuto qualche coltivatore diretto improprio. Improprio nel senso che in realtà faceva tutt'altro. Erano per lo più trasportatori, venditori ambulanti, casalinghe. Insomma, tutte persone che avevano escogitato quel modo per eludere il fisco. Ciò era, e forse lo è ancora, consentito dalle leggi, ma molti approfittavano, e taluni alla grande, come forse potrebbe essere il caso del personaggio in questione.
Per questo motivo, secondo me, ci sono in Italia un discreto numero di gonzi creduloni.
Costui, le proprietà suppongo se le sia create da quando è in politica, perchè prima era uno squattrinato che viaggiava a bordo di una Fiat 127. E visto che a questo punto molti tirerebbero in ballo le ricchezze di Berlusconi, ben diverso è stato l'escursus di costui, che i soldi li ha fatti col lavoro, e prima di entrare in politica. E su questo punto, se qualcuno avesse da obiettare il contrario, avrei argomenti validi a riguardo. Sono stato infatti piccolo azionista di tutte e tre le aziende partecipate dalla famiglia Berlusconi: Mediaset, Mondadori e Mediolanum; e, da quando Berlusconi è in politica, i piccoli azionisti di tali società stanno registrando notevoli capital loss (perdite di capitale). Pertanto, chi afferma che Berlusconi ha fatto i soldi con la politica, dice una falsità.
martedì 21 aprile 2009
Un gigantesco psicodramma collettivo per sentirsi combattivi (click)
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Ma, scusate, a che serve tutto questo casino (scusate ancora, è proprio la parola giusta) di Ginevra? Siamo tutti un po´ saturi di questa storia - tutti quelli che seguono la cronaca politica del Medio Oriente, voglio dire. Gli Stati che ci vanno, quelli che non ci vanno, il segretario dell´Onu Ban che si dispiace di quelli che non ci vanno (ma lui la settimana scorsa ci era andato... alla conferenza della Lega Araba a Dubai e poi a pranzo col presidente del Sudan Bashir ricercato numero uno del Tribunale dell´Onu...). Eccetera. Ma a che serve? Cui prodest? Che cosa deve uscire da questa conferenza? Monsignor Federico Lombardi, portavoce di un Vaticano che ha la coda di paglia lunga così per essere rimasto quasi solo in compagnia del peggior islamista sul mercato, ha affermato tronfio tronfio che la conferenza è "un´occasione importante per portare avanti la lotta al razzismo e l´intolleranza". Capite? Portare avanti la lotta? Come si diceva nelle vecchie assemblee studentesche. E questa lotta portata avanti cosa fa al razzismo? A che razzismo? A quello contro i neri che si manifesta negli stadi italiani? A quello contro i neri del Darfur che si manifesta nel Sudan, il paese di Bashir, compagno di merende del segretario dell´Onu? Il razzismo del Ruanda che l´Onu ha ignorato finché è finito in un genocidio? Quel particolare razzismo che ha nome antisemitismo e che è coltivato dal "key speaker" della prima giornata della conferenza, il presidente dell´Iran Ahamadinejad?
(A proposito, sapete cosa dice il Vaticano di questo discorso? Che "ha avuto espressioni estremiste e inaccettabili"! Espressioni estremiste? questa sì che è una condanna rigorosa... da far invidia a quelle di Pio XII su Hitler, immagino. E cosa dice l´amministrazione Obama, che pure "non c´era" per il dispiacere di Ban? "Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Robert Wood, ha confermato che gli Stati Uniti continuano a cercare "un dialogo diretto" con Teheran sul nucleare, a condizione che "la smetta con questa orribile retorica". Orribile retorica, capite? Metonimie e litoti fuori luogo, anafore scorrette: questo è il problema per Obama, notoriamente fine oratore).
Ritorniamo alla nostra domanda centrale: a che cosa serve questo baraccone, oltre "a portare avanti la lotta"? A delegittimare Israele? Già fatto. A odiare l´Occidente? Fatto anche questo. A compiacere gli eredi di Heider (e più in là, molto più in là anche di un altro H.) come il ministro degli esteri austriaco Michael Spindelegger e naturalmente tutti i Williamson del mondo? Fatica inutile. A far propaganda elettorale per Ahamadinejad che punta al rinnovo della carica fra un mese? Come se in Iran decidessero gli elettori. E allora a che serve? Io ho una risposta, anzi due. Da un lato il carnevale dà uno sfogo a quelle che nel gergo giovanilista di questa cartolina potremmo chiamare "seghe mentali" degli antisraeliani frustrati: nel mondo arabo, in Eurabia, in Italia, dappertutto. Un gigantesco psicodramma collettivo per sentirsi combattivi, "portare aventi la lotta". Questo è il fumo. L´arrosto è altro. E´ ciò di cui "non" si parla a Ginevra: l´atomica iraniana, il terrorismo palestinese, la ripresa di attività dei talebani e dei terroristi iracheni, tutto quel canaio cui la "fantasiosa" politica di Obama ha concesso una salutare ricreazione.
Ugo Volli
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90
Ma, scusate, a che serve tutto questo casino (scusate ancora, è proprio la parola giusta) di Ginevra? Siamo tutti un po´ saturi di questa storia - tutti quelli che seguono la cronaca politica del Medio Oriente, voglio dire. Gli Stati che ci vanno, quelli che non ci vanno, il segretario dell´Onu Ban che si dispiace di quelli che non ci vanno (ma lui la settimana scorsa ci era andato... alla conferenza della Lega Araba a Dubai e poi a pranzo col presidente del Sudan Bashir ricercato numero uno del Tribunale dell´Onu...). Eccetera. Ma a che serve? Cui prodest? Che cosa deve uscire da questa conferenza? Monsignor Federico Lombardi, portavoce di un Vaticano che ha la coda di paglia lunga così per essere rimasto quasi solo in compagnia del peggior islamista sul mercato, ha affermato tronfio tronfio che la conferenza è "un´occasione importante per portare avanti la lotta al razzismo e l´intolleranza". Capite? Portare avanti la lotta? Come si diceva nelle vecchie assemblee studentesche. E questa lotta portata avanti cosa fa al razzismo? A che razzismo? A quello contro i neri che si manifesta negli stadi italiani? A quello contro i neri del Darfur che si manifesta nel Sudan, il paese di Bashir, compagno di merende del segretario dell´Onu? Il razzismo del Ruanda che l´Onu ha ignorato finché è finito in un genocidio? Quel particolare razzismo che ha nome antisemitismo e che è coltivato dal "key speaker" della prima giornata della conferenza, il presidente dell´Iran Ahamadinejad?
(A proposito, sapete cosa dice il Vaticano di questo discorso? Che "ha avuto espressioni estremiste e inaccettabili"! Espressioni estremiste? questa sì che è una condanna rigorosa... da far invidia a quelle di Pio XII su Hitler, immagino. E cosa dice l´amministrazione Obama, che pure "non c´era" per il dispiacere di Ban? "Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Robert Wood, ha confermato che gli Stati Uniti continuano a cercare "un dialogo diretto" con Teheran sul nucleare, a condizione che "la smetta con questa orribile retorica". Orribile retorica, capite? Metonimie e litoti fuori luogo, anafore scorrette: questo è il problema per Obama, notoriamente fine oratore).
Ritorniamo alla nostra domanda centrale: a che cosa serve questo baraccone, oltre "a portare avanti la lotta"? A delegittimare Israele? Già fatto. A odiare l´Occidente? Fatto anche questo. A compiacere gli eredi di Heider (e più in là, molto più in là anche di un altro H.) come il ministro degli esteri austriaco Michael Spindelegger e naturalmente tutti i Williamson del mondo? Fatica inutile. A far propaganda elettorale per Ahamadinejad che punta al rinnovo della carica fra un mese? Come se in Iran decidessero gli elettori. E allora a che serve? Io ho una risposta, anzi due. Da un lato il carnevale dà uno sfogo a quelle che nel gergo giovanilista di questa cartolina potremmo chiamare "seghe mentali" degli antisraeliani frustrati: nel mondo arabo, in Eurabia, in Italia, dappertutto. Un gigantesco psicodramma collettivo per sentirsi combattivi, "portare aventi la lotta". Questo è il fumo. L´arrosto è altro. E´ ciò di cui "non" si parla a Ginevra: l´atomica iraniana, il terrorismo palestinese, la ripresa di attività dei talebani e dei terroristi iracheni, tutto quel canaio cui la "fantasiosa" politica di Obama ha concesso una salutare ricreazione.
Ugo Volli
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90
venerdì 17 aprile 2009
Razzismo, Italia e Germania boicottano Durban
Roma - A oggi "non ci sono le condizioni per l’Italia per re-impegnarsi nel negoziato per la conferenza Durban II". A due giorni dall’apertura a Ginevra della conferenza Onu sul razzismo, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ribadisce ancora le condizioni "inaccettabili", che precludono per ora la partecipazione dell’Italia, contenute nel documento preparatorio su Durban II. Anche se, ha assicurato il ministro, "siamo impegnati con i colleghi europei fino all’ultim’ora".
Frattini chiude a Durban II "L’Italia - ha spiegato il ministro Frattini - mantiene l’atteggiamento di disimpegno dal negoziato tenuto fino ad ora, una scelta del resto presa anche dagli Stati Uniti". Ma per ora, ha assicurato Frattini, "non ci sono le condizioni" per la partecipazione dell’Italia. Il ministro ha, quindi, ricordato i punti contenuti nella bozza conclusiva della conferenza contro il razzismo, in parte modificati ma ancora considerati inaccettabili, perchè giudicati antisemiti nella parte che riguarda l’Olocausto, ma ha ricordato anche le critiche al riferimento alla libertà di espressione che, ha detto, "non è significativamente garantita". Un tema sul quale Frattini - come ha spiegato a margine della conferenza sul disarmo nucleare conclusasi oggi alla Farnesina - si è confrontato anche con i colleghi europei. "Questa mattina ho avuto colloqui telefonici con i miei colleghi inglese, francese, svedese, tedesco, danese e olandese, e ho rappresentato loro i dubbi dell’Italia ed ho ricordato che l’impegno, con i colleghi europei, proseguirà fino all’ultima ora".
Berlino boicotterà la conferenza Il governo tedesco non parteciperà alla conferenza internazionale sul razzismo, detta Durban 2, che inizierà lunedì prossimo a Ginevra: "Anche altri Paesi Ue decideranno di boicottare la conferenza". Sarebbe la prima volta che Berlino disdice la sua presenza a una conferenza delle Nazioni Unite. Un portavoce del ministero degli Esteri, precisa la Welt, ha spiegato che la decisione ufficiale deve ancora essere presa. Ma è certo che "senza il rispetto delle cosiddette linee rosse una partecipazione non sarà possibile". Per "linee rosse" il ministero degli Esteri tedesco intende una presa di posizione unilaterale contro Israele e l’Occidente, così come era stata stata rappresentata dalla conferenza del 2001 a Durban, in Sudafrica. Il responsabile della sezione diritti umani del governo federale tedesco, Guenter Nooke, ha affermato di "vedere più motivi per non partecipare che per essere presenti" a Ginevra. Su questa vicenda Nooke auspica "una posizione il più possibile compatta dei paesi dell’Unione europea".
Frattini chiude a Durban II "L’Italia - ha spiegato il ministro Frattini - mantiene l’atteggiamento di disimpegno dal negoziato tenuto fino ad ora, una scelta del resto presa anche dagli Stati Uniti". Ma per ora, ha assicurato Frattini, "non ci sono le condizioni" per la partecipazione dell’Italia. Il ministro ha, quindi, ricordato i punti contenuti nella bozza conclusiva della conferenza contro il razzismo, in parte modificati ma ancora considerati inaccettabili, perchè giudicati antisemiti nella parte che riguarda l’Olocausto, ma ha ricordato anche le critiche al riferimento alla libertà di espressione che, ha detto, "non è significativamente garantita". Un tema sul quale Frattini - come ha spiegato a margine della conferenza sul disarmo nucleare conclusasi oggi alla Farnesina - si è confrontato anche con i colleghi europei. "Questa mattina ho avuto colloqui telefonici con i miei colleghi inglese, francese, svedese, tedesco, danese e olandese, e ho rappresentato loro i dubbi dell’Italia ed ho ricordato che l’impegno, con i colleghi europei, proseguirà fino all’ultima ora".
Berlino boicotterà la conferenza Il governo tedesco non parteciperà alla conferenza internazionale sul razzismo, detta Durban 2, che inizierà lunedì prossimo a Ginevra: "Anche altri Paesi Ue decideranno di boicottare la conferenza". Sarebbe la prima volta che Berlino disdice la sua presenza a una conferenza delle Nazioni Unite. Un portavoce del ministero degli Esteri, precisa la Welt, ha spiegato che la decisione ufficiale deve ancora essere presa. Ma è certo che "senza il rispetto delle cosiddette linee rosse una partecipazione non sarà possibile". Per "linee rosse" il ministero degli Esteri tedesco intende una presa di posizione unilaterale contro Israele e l’Occidente, così come era stata stata rappresentata dalla conferenza del 2001 a Durban, in Sudafrica. Il responsabile della sezione diritti umani del governo federale tedesco, Guenter Nooke, ha affermato di "vedere più motivi per non partecipare che per essere presenti" a Ginevra. Su questa vicenda Nooke auspica "una posizione il più possibile compatta dei paesi dell’Unione europea".
Etichette:
politica
Trattato di Lisbona
16 aprile 2009
LILIANA GORINI SUL TRATTATO DI LISBONA
Il mensile Babilonia Swing intervista Liliana Gorini sul Trattato di Lisbona
Lei si è dichiarata più volte contraria alla ratifica del Trattato di Lisbona, ce ne spiega le ragioni?
Le ragioni sono molteplici, principalmente il fatto che ratificando il Trattato di Lisbona ci stiamo consegnando nelle mani di una dittatura della Commissione Europea senza neanche sapere bene le conseguenze della nostra decisione. Quasi nessuno dei parlamentari dei 24 stati europei che finora ha ratificato il Trattato si è preso la briga di leggere il testo del Trattato, che è volutamente fumoso e incomprensibile (come ha ammesso in Italia lo stesso Giuliano Amato). Grazie all’analisi di eminenti giuristi e costituzionalisti da tutta Europa (Austria, Francia, Germania e Italia, compreso il prof. Guarino, rinomato costituzionalista) abbiamo appreso che col Trattato di Lisbona i nostri governi rinunceranno alla sovranità nella politica economica, nella politica di difesa, nella politica sociale, perfino in materia di pena di morte. Le do un esempio concreto sulla crisi attuale che forse farà capire ai suoi lettori la gravità di questa imposizione: si discute in questi giorni della creazione di una "Bad Bank" che assorba tutti i titoli tossici che hanno provocato la gravissima crisi finanziaria americana in settembre, e che oggi stanno affondando anche l’economia reale in tutta Europa. Il Commissario europeo Almunia ha avanzato una proposta in questo senso in seno all’Unione Europea, ed essa coincide con la "Bad Bank" proposta dal Premier britannico Gordon Brown e dal megaspeculatore George Soros: significa essenzialmente che saranno i contribuenti dell’Unione a rifinanziare questi titoli tossici, che in realtà dovrebbero essere depennati. Finora si sono opposti il governo tedesco ed il Ministro italiano dell’Economia Tremonti, che chiede giustamente che questi titoli tossici, ad esempio i famosi derivati che hanno mandato in bancarotta alcuni bilanci comunali, vengano congelati per 50 anni, e che se si crea una "Bad Bank" sia solo per "sterilizzare" tali titoli, perché non è giusto che sia lo stato (ed i suoi cittadini) a pagare per gli errori, e le truffe, di speculatori miliardari. La discussione è ancora in corso, così come lo è negli Stati Uniti di Obama. Ma se il Trattato di Lisbona fosse già stato ratificato da tutti i 27 stati membri, sarebbe l’Unione Europea a decidere, e la giusta opposizione di Germania e Italia non potrebbe nulla contro il Commissario Almunia. I nostri contribuenti dunque dovrebbero dire addio ai loro risparmi, che andrebbero nelle tasche della Bad Bank di Almunia e Soros, e degli speculatori.
La ratifica del Trattato, conferirà poteri straordinari alla Commissione UE. In cosa consistono tali poteri e che ruolo avrà la nostra Costituzione?
Il Trattato di Lisbona contempla una politica estera comune, una organizzazione comune di difesa, una politica commerciale comune, un confine doganale comune, e la moneta e la politica monetaria sono comuni. Questo viola la Costituzione italiana, a partire dall’Articolo 1 che recita "la sovranità appartiene al popolo". Viola anche l’Art. 11 della nostra Costituzione (L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali) in quanto prevede, oltre alle missioni di pace, anche missioni offensive ed il potenziamento delle forze militari messe a disposizione dell’Unione Europea, nell’ambito della NATO. La Commissione si impadronisce dei poteri esecutivo, legislativo ed anche in parte di poteri di solito attribuiti solo al giudiziario. Per questo Guarino parla, correttamente, di "organocrazia".
Che effetti avremo sulla politica economica?
Gli effetti saranno disastrosi, perché come ho detto ci priveranno della possibilità di intervenire, come governo sovrano, sul Bene Comune. Anche in politica economica, la nostra Costituzione sancisce che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (Art. 3).
Purtroppo, come abbiamo verificato nel corso delle manifestazioni contro la ratifica del Trattato di Lisbona, a cui ho partecipato anche io a Milano (di fronte a Palazzo Marino), la gente non è al corrente del problema, e non vede il collegamento tra la gravissima crisi economica attuale e l’abbandono della sovranità in politica economica. Magari pensa che i “tecnici” a Bruxelles siano meglio dei nostri politici, ed è qui che si sbaglia: sono molto peggio, perché non conoscono la nostra situazione economica, la nostra storia, le nostre tradizioni, e sicuramente non se ne curano. Hanno un solo obiettivo in mente: far quadrare il bilancio, costi quel che costi. Il Patto di Stabilità ed i parametri di Maastricht sono già ora il principale impedimento a un vero piano anti-crisi, che promuova il credito destinato all’economia reale, all’industria, all’agricoltura, alle infrastrutture, alla scuola, alla sanità, creando posti di lavoro produttivi. Col Trattato di Lisbona questo impedimento diventerà legge, scritta nella pietra, e se un governo cercherà di adottare misure in difesa dei propri cittadini, verrà severamente punito.
Riguardo agli OGM e la progressiva volontà da parte dell’UE dell’uso di biotech per affrontare la crisi alimentare, che ruolo avrà il Trattato?
Su questo mi sono documentata meno, perché il nostro movimento ritiene che i timori sugli OGM non siano fondati. Posso dirle che "Rettet Oesterreich" (salvate l’Austria) uno dei comitati di cittadini in Europa che si sono mobilitati per un referendum contro il Trattato, denuncia anche questo aspetto nel Trattato (vedi http://rettet-oesterreich.at/index.php?id=43).
In che modo i cittadini possono difendersi da un Trattato che non sembra essere loro di vantaggio?
Ci sono state numerose manifestazioni contro il Trattato, sia in Italia (quelle da noi indette a Milano, di fronte a Palazzo Marino) che in tutta la Francia, Austria e Germania, indette da comitati di cittadini a favore di un referendum sul Trattato. Ritengo che sia bene proseguire con le proteste, anche alla luce della grave crisi economica attuale, che richiede misure urgenti da parte di governi nazionali sovrani.
Perché, a suo avviso,l’Irlanda ha rifiutato la ratifica del Trattato di Lisbona?
Il referendum in Irlanda è stata l’unica consultazione democratica, insieme ai referendum sulla Costituzione europea in Francia e Olanda (ed anche lì è stata bocciata). Se si fosse dato ascolto ai cittadini austriaci (che intendevano difendere la propria neutralità, anche quella abolita dal Trattato) e tedeschi, il Trattato sarebbe stato sconfitto anche in questi paesi. In Italia un referendum sarebbe consentito solo se si trattasse di una Costituzione. Per questo motivo l’hanno definito “Trattato” anche se, di fatto, annulla la nostra Costituzione. La popolazione irlandese ha espresso un sentimento generale, ed è stata subito redarguita: questo dimostra quanto poco democratici siano i fautori del Trattato. L’Irlanda si è liberata 100 anni fa da un impero, sicuramente non aveva nessuna voglia di entrare a far parte di un altro impero, quello dell’UE.
Fonte: http://www.movisol.org/09news032.htm
http://www.vocidallastrada.com/2009/04/liliana-gorini-sul-trattato-di-lisbona.html
LILIANA GORINI SUL TRATTATO DI LISBONA
Il mensile Babilonia Swing intervista Liliana Gorini sul Trattato di Lisbona
Lei si è dichiarata più volte contraria alla ratifica del Trattato di Lisbona, ce ne spiega le ragioni?
Le ragioni sono molteplici, principalmente il fatto che ratificando il Trattato di Lisbona ci stiamo consegnando nelle mani di una dittatura della Commissione Europea senza neanche sapere bene le conseguenze della nostra decisione. Quasi nessuno dei parlamentari dei 24 stati europei che finora ha ratificato il Trattato si è preso la briga di leggere il testo del Trattato, che è volutamente fumoso e incomprensibile (come ha ammesso in Italia lo stesso Giuliano Amato). Grazie all’analisi di eminenti giuristi e costituzionalisti da tutta Europa (Austria, Francia, Germania e Italia, compreso il prof. Guarino, rinomato costituzionalista) abbiamo appreso che col Trattato di Lisbona i nostri governi rinunceranno alla sovranità nella politica economica, nella politica di difesa, nella politica sociale, perfino in materia di pena di morte. Le do un esempio concreto sulla crisi attuale che forse farà capire ai suoi lettori la gravità di questa imposizione: si discute in questi giorni della creazione di una "Bad Bank" che assorba tutti i titoli tossici che hanno provocato la gravissima crisi finanziaria americana in settembre, e che oggi stanno affondando anche l’economia reale in tutta Europa. Il Commissario europeo Almunia ha avanzato una proposta in questo senso in seno all’Unione Europea, ed essa coincide con la "Bad Bank" proposta dal Premier britannico Gordon Brown e dal megaspeculatore George Soros: significa essenzialmente che saranno i contribuenti dell’Unione a rifinanziare questi titoli tossici, che in realtà dovrebbero essere depennati. Finora si sono opposti il governo tedesco ed il Ministro italiano dell’Economia Tremonti, che chiede giustamente che questi titoli tossici, ad esempio i famosi derivati che hanno mandato in bancarotta alcuni bilanci comunali, vengano congelati per 50 anni, e che se si crea una "Bad Bank" sia solo per "sterilizzare" tali titoli, perché non è giusto che sia lo stato (ed i suoi cittadini) a pagare per gli errori, e le truffe, di speculatori miliardari. La discussione è ancora in corso, così come lo è negli Stati Uniti di Obama. Ma se il Trattato di Lisbona fosse già stato ratificato da tutti i 27 stati membri, sarebbe l’Unione Europea a decidere, e la giusta opposizione di Germania e Italia non potrebbe nulla contro il Commissario Almunia. I nostri contribuenti dunque dovrebbero dire addio ai loro risparmi, che andrebbero nelle tasche della Bad Bank di Almunia e Soros, e degli speculatori.
La ratifica del Trattato, conferirà poteri straordinari alla Commissione UE. In cosa consistono tali poteri e che ruolo avrà la nostra Costituzione?
Il Trattato di Lisbona contempla una politica estera comune, una organizzazione comune di difesa, una politica commerciale comune, un confine doganale comune, e la moneta e la politica monetaria sono comuni. Questo viola la Costituzione italiana, a partire dall’Articolo 1 che recita "la sovranità appartiene al popolo". Viola anche l’Art. 11 della nostra Costituzione (L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali) in quanto prevede, oltre alle missioni di pace, anche missioni offensive ed il potenziamento delle forze militari messe a disposizione dell’Unione Europea, nell’ambito della NATO. La Commissione si impadronisce dei poteri esecutivo, legislativo ed anche in parte di poteri di solito attribuiti solo al giudiziario. Per questo Guarino parla, correttamente, di "organocrazia".
Che effetti avremo sulla politica economica?
Gli effetti saranno disastrosi, perché come ho detto ci priveranno della possibilità di intervenire, come governo sovrano, sul Bene Comune. Anche in politica economica, la nostra Costituzione sancisce che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (Art. 3).
Purtroppo, come abbiamo verificato nel corso delle manifestazioni contro la ratifica del Trattato di Lisbona, a cui ho partecipato anche io a Milano (di fronte a Palazzo Marino), la gente non è al corrente del problema, e non vede il collegamento tra la gravissima crisi economica attuale e l’abbandono della sovranità in politica economica. Magari pensa che i “tecnici” a Bruxelles siano meglio dei nostri politici, ed è qui che si sbaglia: sono molto peggio, perché non conoscono la nostra situazione economica, la nostra storia, le nostre tradizioni, e sicuramente non se ne curano. Hanno un solo obiettivo in mente: far quadrare il bilancio, costi quel che costi. Il Patto di Stabilità ed i parametri di Maastricht sono già ora il principale impedimento a un vero piano anti-crisi, che promuova il credito destinato all’economia reale, all’industria, all’agricoltura, alle infrastrutture, alla scuola, alla sanità, creando posti di lavoro produttivi. Col Trattato di Lisbona questo impedimento diventerà legge, scritta nella pietra, e se un governo cercherà di adottare misure in difesa dei propri cittadini, verrà severamente punito.
Riguardo agli OGM e la progressiva volontà da parte dell’UE dell’uso di biotech per affrontare la crisi alimentare, che ruolo avrà il Trattato?
Su questo mi sono documentata meno, perché il nostro movimento ritiene che i timori sugli OGM non siano fondati. Posso dirle che "Rettet Oesterreich" (salvate l’Austria) uno dei comitati di cittadini in Europa che si sono mobilitati per un referendum contro il Trattato, denuncia anche questo aspetto nel Trattato (vedi http://rettet-oesterreich.at/index.php?id=43).
In che modo i cittadini possono difendersi da un Trattato che non sembra essere loro di vantaggio?
Ci sono state numerose manifestazioni contro il Trattato, sia in Italia (quelle da noi indette a Milano, di fronte a Palazzo Marino) che in tutta la Francia, Austria e Germania, indette da comitati di cittadini a favore di un referendum sul Trattato. Ritengo che sia bene proseguire con le proteste, anche alla luce della grave crisi economica attuale, che richiede misure urgenti da parte di governi nazionali sovrani.
Perché, a suo avviso,l’Irlanda ha rifiutato la ratifica del Trattato di Lisbona?
Il referendum in Irlanda è stata l’unica consultazione democratica, insieme ai referendum sulla Costituzione europea in Francia e Olanda (ed anche lì è stata bocciata). Se si fosse dato ascolto ai cittadini austriaci (che intendevano difendere la propria neutralità, anche quella abolita dal Trattato) e tedeschi, il Trattato sarebbe stato sconfitto anche in questi paesi. In Italia un referendum sarebbe consentito solo se si trattasse di una Costituzione. Per questo motivo l’hanno definito “Trattato” anche se, di fatto, annulla la nostra Costituzione. La popolazione irlandese ha espresso un sentimento generale, ed è stata subito redarguita: questo dimostra quanto poco democratici siano i fautori del Trattato. L’Irlanda si è liberata 100 anni fa da un impero, sicuramente non aveva nessuna voglia di entrare a far parte di un altro impero, quello dell’UE.
Fonte: http://www.movisol.org/09news032.htm
http://www.vocidallastrada.com/2009/04/liliana-gorini-sul-trattato-di-lisbona.html
martedì 14 aprile 2009
Islam, il terrorismo delle querele
Siamo un gruppetto di tutto rispetto, giornalisti, politici, studiosi che provano a raccontare, denunciare, attività e scopi veri dell’Ucoii in Italia, ovvero dell’Unione delle comunità islamiche in Italia. Quando ho ricevuto la prima e la seconda querela, l’ho ritenuta motivo di orgoglio. Sapevo di non essere né la prima né la più esposta. Ma negli ultimi tempi il passaparola dei querelati e minacciati ha rivelato che è una strategia, ora attuata in Italia, ma già sperimentata dagli integralisti in molti altri Paesi. La formula della querela è sempre la stessa e recita: «Nell’articolo, il cui contenuto è integralmente diffamatorio, vengono propalate notizie false e giudizi denigratori nei confronti della mia assistita (Ucoii). È evidente la lesione ingiustificata e gratuita all’onore, all’immagine e alla reputazione dell’Ucoii arrecata dalla pubblicazione del citato articolo, il cui contenuto si contesta integralmente». Segue l’invito a risarcire immediatamente tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali. Cito qualcuno dei nomi, ma la lista andrà certamente aggiornata: Magdi Cristiano Allam, il primo e il più perseguitato, Valentina Colombo, Souad Sbai, Andrea Ronchi, Andrea Nardi, Antonello Palazzi, Giancarlo Loquenzi, Carlo Panella, Dimitri Buffa, Massimo Introvigne, Alberto Giannoni, Massimiliano Lussana, Andrea Morigi, Ahmad Giampiero Vincenzo, Daniela Santanchè, Yassim Belkazei. Cito qualche giornale: il Giornale, Libero, La Stampa, il Corriere della Sera, Tempi, l’Opinione, l’Occidentale, la Padania. L’elenco, ripeto, è approssimativo e minimo. Ogni articolo, questo è sicuro, nel quale sia citata l’Ucoii, è oggetto di richiesta di risarcimento.
Ai metodi terroristici tradizionali ora l’islam vicino al movimento dei Fratelli musulmani, ha progettato di aggiungere un altro tipo di jihad, quello che si svolge nei tribunali e che ottiene lo scopo di spaventare personalmente ed anche economicamente. Chiunque, giornalista, politico o studioso che sia, si occupi di islam, rischia di venire citato in tribunale per «oltraggio nei confronti di un gruppo di persone in ragione della loro religione». Gruppi minoritari e perfino isolati nella popolazione musulmana si spacciano per suoi rappresentanti unici.
Uno degli ultimi esempi è stato il processo intentato in Francia dall’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia e dalla Grande moschea di Parigi contro la rivista Charlie Hebdo per avere ripubblicato le vignette satiriche di un giornale danese su Maometto. Nel marzo 2008 la corte d’appello di Parigi ha per fortuna respinto ogni capo d’accusa perché le caricature «si riferiscono chiaramente a una frazione e non all’insieme della comunità islamica, non costituiscono un oltraggio, né un attacco personale e diretto contro un gruppo di persone in virtù della loro appartenenza religiosa e non valicano il limite ammesso della libertà di espressione». Ma altre querele sono arrivate. Negli Stati Uniti il Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche) ha portato in tribunale il responsabile del sito Anti-Cair per avere diffuso false notizie a danno della reputazione dell’Associazione, ma ha dovuto ritirare l’accusa; la Islamic Society di Boston ha accusato di diffamazione diciassette persone nel maggio 2005 anche in questo caso per ritirare l’accusa due anni dopo.
La risposta è stata possibile anche grazie all’azione del Middle East Legal Project Forum, che spiega: «Queste cause sono spesso capziose, avviate senza una seria aspettativa di successo, ma intraprese per causare la bancarotta, per distrarre, intimidire e demoralizzare gli accusati. Non si cerca tanto di vincere in tribunale, quanto di portare allo sfinimento giornalisti e analisti». Pensate che il solo Cair americano ha annunciato nell’ottobre 2005 di avere raccolto in un mese un milione di dollari, per «difendere gli attacchi diffamatori ai musulmani e all’islam». Possiamo provare a fare un Legal Project anche in Italia, per rispondere ai metodi dell’Ucoii?
Due parole per ricordare che cos’è. L’Ucoii è l’estensione in Italia dei Fratelli Musulmani egiziani. I rapporti di polizia e dei servizi, le documentazioni dei tribunali italiani, provano i suoi chiari propositi eversivi per instaurare in Occidente una società dominata dal diritto coranico. Una recente sentenza avvisa come «sia opportuno compiere attente indagini prima di individuare l’Ucoii quale principale interlocutore per quanto riguarda i rapporti con i musulmani evidenziando inoltre che le moschee in Italia possano essere un serbatoio di kamikaze e terroristi». In Italia controllate dall’Ucoii ci sono settecentocinquanta moschee illegali. L’Ucoii non ha firmato la Carta dei Valori preparata dalla Consulta istituita dal ministero degli Interni perché rifiuta qualsiasi forma di concordato con il nostro Paese e le sue Istituzioni. Nel 2006 l’Ucoii ha fatto pubblicare a pagamento sui quotidiani italiani un manifesto con il titolo «Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane» che si chiudeva con «Marzabotto = Gaza = Fosse Ardeatine = Libano».
Purtroppo la preghiera islamica per i nostri morti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo è stata guidata proprio dal presidente dell’Ucoii, Nour Dachan. Noi querelati e minacciati siamo certi che si sia trattato di un clamoroso equivoco, che rischia però di dare legittimità a un’organizzazione fondamentalista. Aspettiamo chiarimenti e ci organizziamo per resistere.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=343508&START=0&2col=
Ai metodi terroristici tradizionali ora l’islam vicino al movimento dei Fratelli musulmani, ha progettato di aggiungere un altro tipo di jihad, quello che si svolge nei tribunali e che ottiene lo scopo di spaventare personalmente ed anche economicamente. Chiunque, giornalista, politico o studioso che sia, si occupi di islam, rischia di venire citato in tribunale per «oltraggio nei confronti di un gruppo di persone in ragione della loro religione». Gruppi minoritari e perfino isolati nella popolazione musulmana si spacciano per suoi rappresentanti unici.
Uno degli ultimi esempi è stato il processo intentato in Francia dall’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia e dalla Grande moschea di Parigi contro la rivista Charlie Hebdo per avere ripubblicato le vignette satiriche di un giornale danese su Maometto. Nel marzo 2008 la corte d’appello di Parigi ha per fortuna respinto ogni capo d’accusa perché le caricature «si riferiscono chiaramente a una frazione e non all’insieme della comunità islamica, non costituiscono un oltraggio, né un attacco personale e diretto contro un gruppo di persone in virtù della loro appartenenza religiosa e non valicano il limite ammesso della libertà di espressione». Ma altre querele sono arrivate. Negli Stati Uniti il Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche) ha portato in tribunale il responsabile del sito Anti-Cair per avere diffuso false notizie a danno della reputazione dell’Associazione, ma ha dovuto ritirare l’accusa; la Islamic Society di Boston ha accusato di diffamazione diciassette persone nel maggio 2005 anche in questo caso per ritirare l’accusa due anni dopo.
La risposta è stata possibile anche grazie all’azione del Middle East Legal Project Forum, che spiega: «Queste cause sono spesso capziose, avviate senza una seria aspettativa di successo, ma intraprese per causare la bancarotta, per distrarre, intimidire e demoralizzare gli accusati. Non si cerca tanto di vincere in tribunale, quanto di portare allo sfinimento giornalisti e analisti». Pensate che il solo Cair americano ha annunciato nell’ottobre 2005 di avere raccolto in un mese un milione di dollari, per «difendere gli attacchi diffamatori ai musulmani e all’islam». Possiamo provare a fare un Legal Project anche in Italia, per rispondere ai metodi dell’Ucoii?
Due parole per ricordare che cos’è. L’Ucoii è l’estensione in Italia dei Fratelli Musulmani egiziani. I rapporti di polizia e dei servizi, le documentazioni dei tribunali italiani, provano i suoi chiari propositi eversivi per instaurare in Occidente una società dominata dal diritto coranico. Una recente sentenza avvisa come «sia opportuno compiere attente indagini prima di individuare l’Ucoii quale principale interlocutore per quanto riguarda i rapporti con i musulmani evidenziando inoltre che le moschee in Italia possano essere un serbatoio di kamikaze e terroristi». In Italia controllate dall’Ucoii ci sono settecentocinquanta moschee illegali. L’Ucoii non ha firmato la Carta dei Valori preparata dalla Consulta istituita dal ministero degli Interni perché rifiuta qualsiasi forma di concordato con il nostro Paese e le sue Istituzioni. Nel 2006 l’Ucoii ha fatto pubblicare a pagamento sui quotidiani italiani un manifesto con il titolo «Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane» che si chiudeva con «Marzabotto = Gaza = Fosse Ardeatine = Libano».
Purtroppo la preghiera islamica per i nostri morti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo è stata guidata proprio dal presidente dell’Ucoii, Nour Dachan. Noi querelati e minacciati siamo certi che si sia trattato di un clamoroso equivoco, che rischia però di dare legittimità a un’organizzazione fondamentalista. Aspettiamo chiarimenti e ci organizziamo per resistere.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=343508&START=0&2col=
Che cosa è lo Stato etico ?
Articoli CR
Giovedì 09 Aprile 2009 09:40
CR n.1087 del 10/4/2009
Recentemente, il presidente della Camera, l’onorevole Gianfranco Fini, in occasione del I Congresso del Popolo della Libertà, ha detto che la legge sul biotestamento, che sta maturando alle Camere, sarebbe poco “laica”, anzi addirittura da “Stato etico”. Ma cos’è lo “Stato etico”? E perché l’accusa del presidente Fini è impropria?
Prima di tutto va detto che il concetto di “Stato etico” non va confuso con quello di “Stato organico” o “tradizionale”.
Quest’ultimo è lo Stato che, pur partendo da un’autonomia nei confronti della legge soprannaturale, riconosce la legge naturale e si costruisce “organicamente” (anche da ciò la definizione di “Stato organico”) su questo riconoscimento. Lo “Stato etico”, invece, è quello Stato che, non riconoscendo alcun limite al di fuori di sé e quindi non riconoscendo un diritto naturale oggettivo, si organizza su un’intrinseca visione delle cose, cioè su una visione delle cose partorita da sé medesimo.
“Stato etico” non significa Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì Stato che crea la morale; “etico” in quanto pone se stesso come fonte dell’etica; “etico” in quanto incapace di lasciarsi giudicare e quindi ammettere un giudizio al di fuori di sé. C’è un secondo punto da tener presente. Spesso si crede che uno Stato che si ponga in maniera neutra rispetto alle varie visioni della vita sarebbe l’antidoto a qualsiasi deriva di “Stato etico”. Niente affatto: come dimostra la dominante dittatura del relativismo, il rifiutare qualsiasi giudizio già è prediligere una ben precisa visione della vita, ovvero quella di non avere alcun giudizio.
Ma vediamo dove è l’errore di parlare così a sproposito di “Stato etico”. Il presidente Fini sembra non capire che ciò che evita la deriva verso uno Stato etico è proprio il riconoscimento di una morale oggettiva e metafisicamente fondata, ovvero fondata fuori della Storia e quindi fuori dello Stato. Infatti, è proprio la legge naturale che pone l’uomo (ogni uomo!) come fine dello Stato e non a servizio di esso. Si tenga ben presente che il totalitarismo è appunto il ritenere che l’uomo sia in funzione dello Stato e non viceversa.
Lo ripetiamo: lo “Stato etico” non è lo Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì lo Stato che diventa fondamento di se stesso, che pretende di trovare la sua ragion d’essere nelle dinamiche istituzionali e in un diritto positivo, esito delle decisioni di pochi o della maggioranza. Se l’esempio dell’aborto può non essere gradito, se ne può fare un altro: si vota per decidere se gli uomini che hanno militato in partiti filo-fascisti, distaccandosene successivamente, debbano o meno proseguire l’attività politica.
Poniamo che vincano i “sì”, sarebbe questa una palese ingiustizia? Evidentemente sì. Eppure una tale decisione sarebbe frutto della maggioranza. Ebbene, ciò dimostra che la garanzia della vera libertà è proprio ammettere una morale al di fuori dello Stato e delle sue dinamiche politico-istituzionali.
Lo Stato deve riconoscere la verità; non può crearla. Se ha questa pretesa, diventa, appunto, “Stato etico”, trasformando la forza del diritto in diritto della forza. È quanto afferma Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus Annus, quando scrive: «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (n. 46). Si tenga presente che in questo caso con il termine “valori” si intende ciò che è metafisicamente fondato.
Dunque il Papa ha voluto dire che una democrazia, incapace di riconoscere una legge naturale oggettiva, inevitabilmente si trasforma in totalitarismo.
Lo Stato che riconosce la legge naturale e cristiana è il migliore antidoto allo “Stato etico” totalitario e al “non-Stato” relativista.
Giovedì 09 Aprile 2009 09:40
CR n.1087 del 10/4/2009
Recentemente, il presidente della Camera, l’onorevole Gianfranco Fini, in occasione del I Congresso del Popolo della Libertà, ha detto che la legge sul biotestamento, che sta maturando alle Camere, sarebbe poco “laica”, anzi addirittura da “Stato etico”. Ma cos’è lo “Stato etico”? E perché l’accusa del presidente Fini è impropria?
Prima di tutto va detto che il concetto di “Stato etico” non va confuso con quello di “Stato organico” o “tradizionale”.
Quest’ultimo è lo Stato che, pur partendo da un’autonomia nei confronti della legge soprannaturale, riconosce la legge naturale e si costruisce “organicamente” (anche da ciò la definizione di “Stato organico”) su questo riconoscimento. Lo “Stato etico”, invece, è quello Stato che, non riconoscendo alcun limite al di fuori di sé e quindi non riconoscendo un diritto naturale oggettivo, si organizza su un’intrinseca visione delle cose, cioè su una visione delle cose partorita da sé medesimo.
“Stato etico” non significa Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì Stato che crea la morale; “etico” in quanto pone se stesso come fonte dell’etica; “etico” in quanto incapace di lasciarsi giudicare e quindi ammettere un giudizio al di fuori di sé. C’è un secondo punto da tener presente. Spesso si crede che uno Stato che si ponga in maniera neutra rispetto alle varie visioni della vita sarebbe l’antidoto a qualsiasi deriva di “Stato etico”. Niente affatto: come dimostra la dominante dittatura del relativismo, il rifiutare qualsiasi giudizio già è prediligere una ben precisa visione della vita, ovvero quella di non avere alcun giudizio.
Ma vediamo dove è l’errore di parlare così a sproposito di “Stato etico”. Il presidente Fini sembra non capire che ciò che evita la deriva verso uno Stato etico è proprio il riconoscimento di una morale oggettiva e metafisicamente fondata, ovvero fondata fuori della Storia e quindi fuori dello Stato. Infatti, è proprio la legge naturale che pone l’uomo (ogni uomo!) come fine dello Stato e non a servizio di esso. Si tenga ben presente che il totalitarismo è appunto il ritenere che l’uomo sia in funzione dello Stato e non viceversa.
Lo ripetiamo: lo “Stato etico” non è lo Stato che riconosce una morale naturale e oggettiva, bensì lo Stato che diventa fondamento di se stesso, che pretende di trovare la sua ragion d’essere nelle dinamiche istituzionali e in un diritto positivo, esito delle decisioni di pochi o della maggioranza. Se l’esempio dell’aborto può non essere gradito, se ne può fare un altro: si vota per decidere se gli uomini che hanno militato in partiti filo-fascisti, distaccandosene successivamente, debbano o meno proseguire l’attività politica.
Poniamo che vincano i “sì”, sarebbe questa una palese ingiustizia? Evidentemente sì. Eppure una tale decisione sarebbe frutto della maggioranza. Ebbene, ciò dimostra che la garanzia della vera libertà è proprio ammettere una morale al di fuori dello Stato e delle sue dinamiche politico-istituzionali.
Lo Stato deve riconoscere la verità; non può crearla. Se ha questa pretesa, diventa, appunto, “Stato etico”, trasformando la forza del diritto in diritto della forza. È quanto afferma Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus Annus, quando scrive: «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (n. 46). Si tenga presente che in questo caso con il termine “valori” si intende ciò che è metafisicamente fondato.
Dunque il Papa ha voluto dire che una democrazia, incapace di riconoscere una legge naturale oggettiva, inevitabilmente si trasforma in totalitarismo.
Lo Stato che riconosce la legge naturale e cristiana è il migliore antidoto allo “Stato etico” totalitario e al “non-Stato” relativista.
giovedì 9 aprile 2009
Sicurezza: il Pdl delude decadute ronde ed espulsioni
Io non me la prendo con l’opposizione, la loro logica del ‘tanto peggio, tanto meglio’ è risaputa da tempo, me la prendo con il Popolo della libertà, incapace, malgrado la larga maggioranza, a far passare le leggi da loro volute e scritte.Quello che è successo oggi è vergognoso. Grazie all’assoluta mancanza di responsabilità di un certo numero di nostri parlamentari, non è passata una norma essenziale per garantire l’efficacia delle espulsioni (come fa notare il Capo della Polizia) e cioè l’articolo 5, che prevede la permanenza fino a 6 mesi per gli immigrati nei centri di identificazione ed espulsione. Si ritorna quindi a sessanta giorni, scaduti i quali, il clandestino sarà libero di andare in giro per l’Italia e se è il caso delinquere, ovviante con un bel foglio di via in tasca, che non vale nulla.Maroni ci informa che entro metà maggio saranno liberati 1.360 clandestini, la maggior parte tunisini. Esultano Soro del Pd e Casini dell’Udc, e scommetto, che se ci sarà un’impennata di crimini e stupri, gli stessi, indosseranno i panni della contrizione e parleranno di norme inefficaci del Governo. Sono nauseanti per come giocano con la vita delle persone. Dovrebbero stuprare le loro mogli e figlie, chissà allora se esulterebbero, davanti ad una simile bestialità, su un punto così delicato per la prevenzione dei crimini.
In Gran Bretagna i clandestini rinchiusi nei centri di permanenza temporanea rischiano di restarci per tutta la vita. Per la legge hanno commesso un reato, e la pena va dalla sanzione pecuniaria a 6 mesi di carcere. Di fatto, però, la pena può trasformarsi nel "carcere a vita" se le autorità, come spesso succede, non riescono a espellerli.In Germania l'immigrazione illegale costituisce reato ed è punibile, oltre che con sanzioni pecuniarie, con la reclusione fino a 3 anni. I clandestini possono restare nei centri di accoglienza fino a un anno e mezzo.In Francia il soggiorno illegale è reato ed è prevista, oltre alla sanzione amministrativa, la reclusione fino a un anno.In Spagna nei quattro anni della prima legislatura Zapatero, i clandestini espulsi sono stati 370mila e la Francia ha espulso solo nel 2008 oltre 7mila cittadini romeni, per fare un paragone in Italia ne sono stati espulsi solo 40.Mi domando quindi cos’ha da esultare l’opposizione, forse che avere le strade piene di spacciatori e ladri sia un merito, rispetto agli altri paesi europei, che invece li espellono?
E’ decaduta anche la norma sulle ronde considerata “inaccettabile” al pari del prolungamento a sei mesi nei Cie, dei clandestini. In effetti per chi spera nel caos avere dei cittadini che contribuiscono a tenere le strade pulite, é un demerito.Niente ronde, quindi, meglio i delinquenti e clandestini a spasso dopo sei mesi, con questi ritocchi, l’opposizione, Pd in testa, felice e giuliva ha votato si. Ma ripeto questa gente può solo sperare nel peggio per tornare al potere, infischiandosene della SICUREZZA della gente normale, quella che non ha auto blu e scorte, e del bene del Paese. Ma il PdL delude proprio, alle prossime elezioni voterò Lega é l’unica speranza che abbiamo per non essere svenduti come carne da macello.
Needle
In Gran Bretagna i clandestini rinchiusi nei centri di permanenza temporanea rischiano di restarci per tutta la vita. Per la legge hanno commesso un reato, e la pena va dalla sanzione pecuniaria a 6 mesi di carcere. Di fatto, però, la pena può trasformarsi nel "carcere a vita" se le autorità, come spesso succede, non riescono a espellerli.In Germania l'immigrazione illegale costituisce reato ed è punibile, oltre che con sanzioni pecuniarie, con la reclusione fino a 3 anni. I clandestini possono restare nei centri di accoglienza fino a un anno e mezzo.In Francia il soggiorno illegale è reato ed è prevista, oltre alla sanzione amministrativa, la reclusione fino a un anno.In Spagna nei quattro anni della prima legislatura Zapatero, i clandestini espulsi sono stati 370mila e la Francia ha espulso solo nel 2008 oltre 7mila cittadini romeni, per fare un paragone in Italia ne sono stati espulsi solo 40.Mi domando quindi cos’ha da esultare l’opposizione, forse che avere le strade piene di spacciatori e ladri sia un merito, rispetto agli altri paesi europei, che invece li espellono?
E’ decaduta anche la norma sulle ronde considerata “inaccettabile” al pari del prolungamento a sei mesi nei Cie, dei clandestini. In effetti per chi spera nel caos avere dei cittadini che contribuiscono a tenere le strade pulite, é un demerito.Niente ronde, quindi, meglio i delinquenti e clandestini a spasso dopo sei mesi, con questi ritocchi, l’opposizione, Pd in testa, felice e giuliva ha votato si. Ma ripeto questa gente può solo sperare nel peggio per tornare al potere, infischiandosene della SICUREZZA della gente normale, quella che non ha auto blu e scorte, e del bene del Paese. Ma il PdL delude proprio, alle prossime elezioni voterò Lega é l’unica speranza che abbiamo per non essere svenduti come carne da macello.
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martedì 7 aprile 2009
Guarda un po' che ti scovo nell'archivio di Repubblica !
Solo Clinton e Blair contro Saddam
Repubblica — 06 febbraio 1998 pagina 11 sezione: POLITICA ESTERA
NEW YORK - Bill Clinton è tra due fuochi. Da un lato molti leader repubblicani e democratici del Congresso, capeggiati da Newt Gingrich e appoggiati da esperti militari, gli chiedono di sferrare un attacco massiccio sull' Iraq con l' obiettivo di eliminare fisicamente, una volta per tutte, Saddam Hussein. Dall' altro la Russia, la Cina e in modi più ambigui anche la Francia si oppongono a ogni azione di forza contro Bagdad. In questa situazione il presidente americano prende una posizione intermedia: continua a minacciare un intervento militare in tempi brevi, esclude l' uccisione di Saddam e si augura soprattutto che gli sforzi diplomatici abbiano successo. "Dai tempi di Gerald Ford abbiamo il divieto di assassinare i leaders stranieri" ha ricordato Clinton, ricevendo ieri alla Casa Bianca il premier britannico Tony Blair, che è anche un suo amico personale e il più fedele alleato nella crisi del Golfo. "Certo, un cambiamento di leadership a Bagdad sarebbe la soluzione migliore per il popolo iracheno. Ma il nostro obiettivo è un altro: vogliamo impedire che Saddam Hussein disponga delle armi di distruzione di massa, sia chimiche che batteriologiche, che ha già usato nel passato. Per questo pretendiamo che rispetti le risoluzioni dell' Onu permettendo l' accesso incondizionato degli ispettori". "Non vogliamo il conflitto, ma una soluzione diplomatica" ha insistito il presidente. "Siamo però pronti a imporre la volontà internazionale". "Tutti desiderano una strada pacifica" gli ha fatto eco il premier inglese. "Ma Saddam Hussein deve essere fermato negli interessi di lungo termine dell' umanità mondo". E ieri Clinton e Blair, prima in una colazione di lavoro alla Casa Bianca, poi in una cena ufficiale (allietata anche da Elton John e Steve Wonder), hanno discusso dei piani militari che, in caso di raid, vedrebbero fianco a fianco unità americane e britanniche. Nel Golfo è già arrivata la portaerei Invincible della marina di Sua Maestà e il Pentagono ha annunciato lo spostamento del ventiquattresimo corpo dei Marines, a bordo del portaelicotteri Guam, che si aggiungerà alle tre portaerei, due incrociatori, due sottomarini d' attacco, centosettantaquattro aerei e millecinquecento soldati già in posizione strategica. La speranza, naturalmente, è che questi preparativi militari, assieme alle minacce verbali, convincano Saddam Hussein che Stati Uniti e Gran Bretagna fanno sul serio. E che ha interesse a desistere, a cambiare rotta, ad accettare senza riserve le ispezioni dell' Onu. "Del resto - fanno notare al dipartimento di Stato - l' escalation ha già avuto qualche effetto, se è vero che l' Iraq non usa più i toni arroganti di qualche giorno fa". Washington e Londra sostengono di poter agire militarmente anche senza una apposita risoluzione del Consiglio di sicurezza. Ma naturalmente si rendono conto dei rischi e dei costi di una azione unilaterale osteggiata dagli altri membri permanenti del consiglio, cioè Mosca, Pechino e Parigi. Tutte e tre le capitali, ieri, hanno ripetuto le loro obiezioni. Boris Eltsin, che mercoledì aveva parlato in modo generico e un po' contraddittorio di "pericoli di guerra mondiale", ha detto che la Russia "non permetterà un attacco americano". Il ministro degli Esteri di Pechino Qian Qichen ha spiegato le ragioni dell' opposizione cinese: "L' intervento farebbe moltissime vittime, aggraverebbe la crisi nella regione e potrebbe creare nuovi conflitti". Il ministro Hubert Vedrin ha escluso una partecipazione francese all' eventuale raid e ha osservato, in una lettera a Madeleine Albright e in una intervista a Europe 1, che "un' azione militare non risolverebbe i problemi". Clinton ha risposto solo indirettamente alle dichiarazioni cino-russo-francesi: limitandosi, ieri, a ricordare che nella conversazione telefonica anche Eltsin sembrava condividere la necessità di risolvere il problema. "So che il presidente russo vorrebbe evitare un confronto militare, anche noi abbiamo la stessa speranza. Ma è tutto in mano a Saddam Hussein: l' esito della crisi dipende da lui". -
Repubblica — 06 febbraio 1998 pagina 11 sezione: POLITICA ESTERA
NEW YORK - Bill Clinton è tra due fuochi. Da un lato molti leader repubblicani e democratici del Congresso, capeggiati da Newt Gingrich e appoggiati da esperti militari, gli chiedono di sferrare un attacco massiccio sull' Iraq con l' obiettivo di eliminare fisicamente, una volta per tutte, Saddam Hussein. Dall' altro la Russia, la Cina e in modi più ambigui anche la Francia si oppongono a ogni azione di forza contro Bagdad. In questa situazione il presidente americano prende una posizione intermedia: continua a minacciare un intervento militare in tempi brevi, esclude l' uccisione di Saddam e si augura soprattutto che gli sforzi diplomatici abbiano successo. "Dai tempi di Gerald Ford abbiamo il divieto di assassinare i leaders stranieri" ha ricordato Clinton, ricevendo ieri alla Casa Bianca il premier britannico Tony Blair, che è anche un suo amico personale e il più fedele alleato nella crisi del Golfo. "Certo, un cambiamento di leadership a Bagdad sarebbe la soluzione migliore per il popolo iracheno. Ma il nostro obiettivo è un altro: vogliamo impedire che Saddam Hussein disponga delle armi di distruzione di massa, sia chimiche che batteriologiche, che ha già usato nel passato. Per questo pretendiamo che rispetti le risoluzioni dell' Onu permettendo l' accesso incondizionato degli ispettori". "Non vogliamo il conflitto, ma una soluzione diplomatica" ha insistito il presidente. "Siamo però pronti a imporre la volontà internazionale". "Tutti desiderano una strada pacifica" gli ha fatto eco il premier inglese. "Ma Saddam Hussein deve essere fermato negli interessi di lungo termine dell' umanità mondo". E ieri Clinton e Blair, prima in una colazione di lavoro alla Casa Bianca, poi in una cena ufficiale (allietata anche da Elton John e Steve Wonder), hanno discusso dei piani militari che, in caso di raid, vedrebbero fianco a fianco unità americane e britanniche. Nel Golfo è già arrivata la portaerei Invincible della marina di Sua Maestà e il Pentagono ha annunciato lo spostamento del ventiquattresimo corpo dei Marines, a bordo del portaelicotteri Guam, che si aggiungerà alle tre portaerei, due incrociatori, due sottomarini d' attacco, centosettantaquattro aerei e millecinquecento soldati già in posizione strategica. La speranza, naturalmente, è che questi preparativi militari, assieme alle minacce verbali, convincano Saddam Hussein che Stati Uniti e Gran Bretagna fanno sul serio. E che ha interesse a desistere, a cambiare rotta, ad accettare senza riserve le ispezioni dell' Onu. "Del resto - fanno notare al dipartimento di Stato - l' escalation ha già avuto qualche effetto, se è vero che l' Iraq non usa più i toni arroganti di qualche giorno fa". Washington e Londra sostengono di poter agire militarmente anche senza una apposita risoluzione del Consiglio di sicurezza. Ma naturalmente si rendono conto dei rischi e dei costi di una azione unilaterale osteggiata dagli altri membri permanenti del consiglio, cioè Mosca, Pechino e Parigi. Tutte e tre le capitali, ieri, hanno ripetuto le loro obiezioni. Boris Eltsin, che mercoledì aveva parlato in modo generico e un po' contraddittorio di "pericoli di guerra mondiale", ha detto che la Russia "non permetterà un attacco americano". Il ministro degli Esteri di Pechino Qian Qichen ha spiegato le ragioni dell' opposizione cinese: "L' intervento farebbe moltissime vittime, aggraverebbe la crisi nella regione e potrebbe creare nuovi conflitti". Il ministro Hubert Vedrin ha escluso una partecipazione francese all' eventuale raid e ha osservato, in una lettera a Madeleine Albright e in una intervista a Europe 1, che "un' azione militare non risolverebbe i problemi". Clinton ha risposto solo indirettamente alle dichiarazioni cino-russo-francesi: limitandosi, ieri, a ricordare che nella conversazione telefonica anche Eltsin sembrava condividere la necessità di risolvere il problema. "So che il presidente russo vorrebbe evitare un confronto militare, anche noi abbiamo la stessa speranza. Ma è tutto in mano a Saddam Hussein: l' esito della crisi dipende da lui". -
dal nostro corrispondente ARTURO ZAMPAGLIONE
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/02/06/solo-clinton-blair-contro-saddam.html
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/02/06/solo-clinton-blair-contro-saddam.html
lunedì 6 aprile 2009
Interessante dall'archivio di Repubblica
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/02/08/blair-lancia-la-nuova-internazionale.html
Blair lancia la nuova Internazionale
dal nostro inviato ANTONIO POLITO
— 08 febbraio 1998 pagina 6 sezione: POLITICA INTERNA
Blair lancia la nuova Internazionale
Repubblica — 08 febbraio 1998 pagina 6 sezione: POLITICA INTERNA
LONDRA - Una nuova Internazionale, ma stavolta composta dai partiti di centrosinistra, dai nuovi moderati che traggono la loro origine dal socialismo ma hanno accettato fino in fondo il capitalismo. Una nuova Internazionale per cercare una "terza via" tra lo Stato pigliatutto e il mercato pigliatutto. Tony Blair alza la mira delle sue ambizioni e si propone come la guida di un nuovo movimento, universale come lo è la globalizzazione, e che - di fatto - scavalca e sorpassa l' Internazionale socialista. L' effetto Casa Bianca, e il successo personale che sta riscuotendo nella visita a Clinton, hanno spinto Blair a tentare l' operazione politica più ardita finora compiuta sulla scena internazionale. In un' intervista al Guardian il leader del New Labour annuncia che l' asse di questo nuovo movimento sarà composto dall' alleanza di ferro tra lui e Clinton, cementata in questi giorni a Washington. I due parlano lo stesso linguaggio, usano le stesse parole d' ordine, tengono i loro staff in consultazione permanente. Si aiutano, quando ne hanno bisogno: Clinton sostenne Blair per fargli vincere le elezioni, Blair ha ricambiato il favore accorrendo in aiuto del presidente americano impigliato nello "Zipgate". A maggio si rivedranno a Londra, alla vigilia del G8, per lanciare la nuova iniziativa. Poi, alla fine dell' anno o agli inizi del prossimo, il primo incontro della nuova Internazionale, aperto a tutta la sinistra del mondo che è disposta a abbracciare il nuovo credo anglosassone. "Dobbiamo metterci alla testa di tutti coloro che vogliono provare a gestire il cambiamento sociale in quest' era di globalizzazione. La vecchia sinistra resiste a questi cambiamenti. La destra non vuole affrontarli. Tocca a noi - dice Blair - gestirli per produrre solidarietà sociale e prosperità". L' obiettivo è in linea con lo slogan della "terza via". E forse serve a Blair anche per spezzare l' isolamento in cui il nuovo socialismo anglosassone rischia di trovarsi sull' intervento nel Golfo. Blair non chiude la porta a nessuno, nemmeno ai partiti socialisti europei più lontani da lui. L' invito è dunque rivolto anche ai socialisti francesi, ai socialdemocratici tedeschi, insieme agli olandesi, agli italiani, ai portoghesi. A sorpresa, Blair indica poi in Fernando Henrique Cardoso, presidente del Brasile, uno dei politici mondiali che sente più vicino: "Ho letto la sua introduzione a un libro di miei discorsi e sono rimasto sorpreso di quanto quest' uomo parli il nostro stesso linguaggio". Sono della partita anche i partiti dell' ex Est europeo che - dice Blair - "sono diventati meno fanatici del mercato". Blair indica cinque discriminanti per questo nuovo movimento: "Primo: una gestione prudente e stabile dell' economia, rispettosa della globalizzazione. Secondo: spostare l' intervento dello Stato verso settori come l' educazione, l' addestramento professionale, le infrastrutture, lasciando stare cose come l' intervento nell' industria o la politica di alta tassazione e di alta spesa pubblica. Terzo: dobbiamo essere noi i riformatori dello Stato sociale, altrimenti la Destra lo smantellerà. Quarto: reinventare il governo e la decentralizzazione, in modo che ciò che conta è ciò che funziona. Quinto: il centrosinistra deve essere internazionalista e opporsi all' isolazionismo della Destra". è la summa del pensiero di Blair: stato leggero ma attivo nella società, responsabilità fiscale, flessibilità nel mercato del lavoro, ricerca della giustizia sociale ma senza mettere intralci alla crescita economica, che porta prosperità. Le parole d' ordine sono praticamente identiche a quelle di Clinton negli Usa, anche se le situazioni sono molto diverse. La Gran Bretagna, nonostante 18 anni di potere conservatore, ha ancora un Welfare vastissimo e praticamente intatto. Toccare, seppure di poco, i contributi sociali alle ragazze madri, è costato a Blair una ribellione nel suo stesso partito, mentre Clinton quei contributi li ha radicalmente aboliti tra gli applausi della nazione. E se le differenze sono forti tra le due sponde dell' Atlantico, figurarsi all' interno dell' Europa, dove è cresciuta sotto l' ala protettiva dello Stato sociale una società del tutto diversa: in America lo Stato spende appena il 32% del prodotto interno lordo, in Inghilterra il 39% e in Germania il 47%. Quasi a cercare la fonte d' ispirazione, Blair, Clinton e mogli sono andati ieri in pellegrinaggio sulla tomba di Franklin Delano Roosevelt, facendosi riprendere davanti ad una delle sue frasi celebri: "L' unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la nostra stessa paura". - dal nostro inviato ANTONIO POLITO
Blair lancia la nuova Internazionale
dal nostro inviato ANTONIO POLITO
— 08 febbraio 1998 pagina 6 sezione: POLITICA INTERNA
Blair lancia la nuova Internazionale
Repubblica — 08 febbraio 1998 pagina 6 sezione: POLITICA INTERNA
LONDRA - Una nuova Internazionale, ma stavolta composta dai partiti di centrosinistra, dai nuovi moderati che traggono la loro origine dal socialismo ma hanno accettato fino in fondo il capitalismo. Una nuova Internazionale per cercare una "terza via" tra lo Stato pigliatutto e il mercato pigliatutto. Tony Blair alza la mira delle sue ambizioni e si propone come la guida di un nuovo movimento, universale come lo è la globalizzazione, e che - di fatto - scavalca e sorpassa l' Internazionale socialista. L' effetto Casa Bianca, e il successo personale che sta riscuotendo nella visita a Clinton, hanno spinto Blair a tentare l' operazione politica più ardita finora compiuta sulla scena internazionale. In un' intervista al Guardian il leader del New Labour annuncia che l' asse di questo nuovo movimento sarà composto dall' alleanza di ferro tra lui e Clinton, cementata in questi giorni a Washington. I due parlano lo stesso linguaggio, usano le stesse parole d' ordine, tengono i loro staff in consultazione permanente. Si aiutano, quando ne hanno bisogno: Clinton sostenne Blair per fargli vincere le elezioni, Blair ha ricambiato il favore accorrendo in aiuto del presidente americano impigliato nello "Zipgate". A maggio si rivedranno a Londra, alla vigilia del G8, per lanciare la nuova iniziativa. Poi, alla fine dell' anno o agli inizi del prossimo, il primo incontro della nuova Internazionale, aperto a tutta la sinistra del mondo che è disposta a abbracciare il nuovo credo anglosassone. "Dobbiamo metterci alla testa di tutti coloro che vogliono provare a gestire il cambiamento sociale in quest' era di globalizzazione. La vecchia sinistra resiste a questi cambiamenti. La destra non vuole affrontarli. Tocca a noi - dice Blair - gestirli per produrre solidarietà sociale e prosperità". L' obiettivo è in linea con lo slogan della "terza via". E forse serve a Blair anche per spezzare l' isolamento in cui il nuovo socialismo anglosassone rischia di trovarsi sull' intervento nel Golfo. Blair non chiude la porta a nessuno, nemmeno ai partiti socialisti europei più lontani da lui. L' invito è dunque rivolto anche ai socialisti francesi, ai socialdemocratici tedeschi, insieme agli olandesi, agli italiani, ai portoghesi. A sorpresa, Blair indica poi in Fernando Henrique Cardoso, presidente del Brasile, uno dei politici mondiali che sente più vicino: "Ho letto la sua introduzione a un libro di miei discorsi e sono rimasto sorpreso di quanto quest' uomo parli il nostro stesso linguaggio". Sono della partita anche i partiti dell' ex Est europeo che - dice Blair - "sono diventati meno fanatici del mercato". Blair indica cinque discriminanti per questo nuovo movimento: "Primo: una gestione prudente e stabile dell' economia, rispettosa della globalizzazione. Secondo: spostare l' intervento dello Stato verso settori come l' educazione, l' addestramento professionale, le infrastrutture, lasciando stare cose come l' intervento nell' industria o la politica di alta tassazione e di alta spesa pubblica. Terzo: dobbiamo essere noi i riformatori dello Stato sociale, altrimenti la Destra lo smantellerà. Quarto: reinventare il governo e la decentralizzazione, in modo che ciò che conta è ciò che funziona. Quinto: il centrosinistra deve essere internazionalista e opporsi all' isolazionismo della Destra". è la summa del pensiero di Blair: stato leggero ma attivo nella società, responsabilità fiscale, flessibilità nel mercato del lavoro, ricerca della giustizia sociale ma senza mettere intralci alla crescita economica, che porta prosperità. Le parole d' ordine sono praticamente identiche a quelle di Clinton negli Usa, anche se le situazioni sono molto diverse. La Gran Bretagna, nonostante 18 anni di potere conservatore, ha ancora un Welfare vastissimo e praticamente intatto. Toccare, seppure di poco, i contributi sociali alle ragazze madri, è costato a Blair una ribellione nel suo stesso partito, mentre Clinton quei contributi li ha radicalmente aboliti tra gli applausi della nazione. E se le differenze sono forti tra le due sponde dell' Atlantico, figurarsi all' interno dell' Europa, dove è cresciuta sotto l' ala protettiva dello Stato sociale una società del tutto diversa: in America lo Stato spende appena il 32% del prodotto interno lordo, in Inghilterra il 39% e in Germania il 47%. Quasi a cercare la fonte d' ispirazione, Blair, Clinton e mogli sono andati ieri in pellegrinaggio sulla tomba di Franklin Delano Roosevelt, facendosi riprendere davanti ad una delle sue frasi celebri: "L' unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la nostra stessa paura". - dal nostro inviato ANTONIO POLITO
Metamorfosi improvvisa?
Interessante riflessione di Assuntina Morresi:
Gianfranco Fini vuole diventare Presidente della Repubblica, e per questo si è messo a fare il “laico”, sperando di allargare la platea dei suoi sostenitori, anche a sinistra (ma poi a destra lo voteranno?).
Paola Binetti, sabato, gli ha scritto una lettera aperta, ricordando una lettera che Fini aveva scritto al Corriere della Sera dieci anni fa.
Di seguito potete leggere l’articolo e la lettera di Fini, un Fini vecchia maniera, potremmo dire versione 1.0. Molto interessante, da leggere tutta.
Sia chiaro: il problema non è cambiare idea. Ma se un personaggio pubblico la cambia così radicalmente in poco tempo, dovrebbe innanzitutto spiegare il percorso che ha seguito, far capire per quale motivo adesso dice l’opposto di quello che diceva pochi anni fa: insomma, non può far finta di niente, e di punto in bianco fare una giravolta di 180 gradi, senza spiegare niente, altrimenti è ovvio per tutti noi pensare che non crede a quel che dice, ma che fa solo quello che ritiene utile alla sua carriera personale (ammesso e non concesso che poi veramente gli convenga).
Continua a leggere nel sito Stranocristiano
Gianfranco Fini vuole diventare Presidente della Repubblica, e per questo si è messo a fare il “laico”, sperando di allargare la platea dei suoi sostenitori, anche a sinistra (ma poi a destra lo voteranno?).
Paola Binetti, sabato, gli ha scritto una lettera aperta, ricordando una lettera che Fini aveva scritto al Corriere della Sera dieci anni fa.
Di seguito potete leggere l’articolo e la lettera di Fini, un Fini vecchia maniera, potremmo dire versione 1.0. Molto interessante, da leggere tutta.
Sia chiaro: il problema non è cambiare idea. Ma se un personaggio pubblico la cambia così radicalmente in poco tempo, dovrebbe innanzitutto spiegare il percorso che ha seguito, far capire per quale motivo adesso dice l’opposto di quello che diceva pochi anni fa: insomma, non può far finta di niente, e di punto in bianco fare una giravolta di 180 gradi, senza spiegare niente, altrimenti è ovvio per tutti noi pensare che non crede a quel che dice, ma che fa solo quello che ritiene utile alla sua carriera personale (ammesso e non concesso che poi veramente gli convenga).
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venerdì 3 aprile 2009
Inconcepibilità di uno sciopero
Reuters riporta una notizia che ha dell'inconcepibile: si riferisce allo sciopero di domani e alla motivazione addotta da Franceschini per parteciparvi.ROMA, 3 aprile (Reuters) -
Smentendo le previsioni di diversi osservatori, il segretario del Pd Dario Franceschini ha annunciato oggi che domani parteciperà alla manifestazione nazionale della Cgil contro il governo, accusato di non fare abbastanza per affrontare la crisi economica. "Domani - ha detto oggi il leader democratico parlando ai giornalisti - ci sarò, andrò alla manifestazione"."Uso le parole di Gordon Brown: dove c'è un disoccupato, un povero, qualcuno che perde il lavoro, non può non esserci un progressista al suo fianco. Noi dobbiamo essere lì e io andrò alla manifestazione".La protesta di domani a Roma è organizzata dal solo sindacato di Guglielmo Epifani, in dissenso con Cisl e Uil, che a gennaio hanno firmato invece l'accordo col governo sul nuovo modello contrattuale.Oggi Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl, ha definito quella della Cgil "una manifestazione elettorale. Tutta politica e per niente sindacale". (*)
A parte il fatto che non riesco a concepire fuoruscite di certi buontemponi, a riguardo di certe motivazioni che vengono addotte per proclamare certi scioperi, è altresì incomprensibile la ragione adottata da Franceschini per motivare la sua adesione a detto sciopero. Che affianchi pure i disoccupati, ma poi si metta in pista per crear loro un lavoro stabile e duraturo, e li metta nelle condizioni di vivere decorosamente. Si accorgerebbe, allora, come, passando dalle parole ai fatti, comincerebbero problemi e dolori di pancia assai seri: manifestare solidarietà e buonismo a parole, son capaci tutti, poi, però, ci vogliono fatti concreti. E lì casca l'asino!Fa bene Bonanni a smarcarsi dal gruppo dei perditempo.
(*) dal sito di Fineco Bank.Dal Blog di Marshall
http://ecopolfinanza.blogspot.com/
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